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Al funerale di Michela Murgia anche la chiesa cattolica è diventata queer?

Nella chiesa degli artisti di Piazza del Popolo, ai funerali di Michela Murgia è andato in scena in modo plastico ed evidente il cortocircuito della teologia cattolica del “fratelli tutti”.  “God save the queer”, la preghiera più recitata, “bella ciao” il canto intonato con più ardore e la bandiera arcobaleno il velo più indossato.

Certamente una vittoria per la scrittrice sarda che è stata paladina di tutti e tre i simboli. Eppure viene da chiedersi se sia stata una celebrazione dell’inclusione e dell’indifferentismo dai quale sarà difficile fare ritorno per l’ortodossia cattolica. 

È innegabile che con la morte di Michela Murgia il mondo della cultura italiana abbia perso uno dei suoi principali e più brillanti protagonisti: scrittrice, opinionista, curatrice di podcast e di trasmissioni radiofoniche e televisive, attivista del femminismo queer e studiosa di teologia cattolica, Murgia è divenuta negli anni una figura di spessore sia per i suoi amatori che per i detrattori.

Ci sarà quasi sicuramente un prima e dopo Michela Murgia, anche per il suo essersi definita sempre cattolica in quanto femminista e femminista in quanto cattolica, scardinando gli stereotipi di intellettuale cattolica e di intellettuale di sinistra.

Uno degli esercizi culturali sui quali la scrittrice si è infatti concentrata di più è stato quello di provare a sostenere le sue battaglie femministe, anche quelle più lontane dall’ortodossia cattolica e aderenti al pensiero “queer”, con temi e giustificazioni bibliche. Questo apre, o forse spiana, un varco per gli intellettuali cattolici che da oggi in poi possono definirsi tali, pur non condividendo le basi del pensiero cattolico in termini di dottrina e di morale.

Infatti, nonostante il rapporto dialettico e spesso conflittuale con le gerarchie cattoliche, i suoi funerali sono stati la chiusura di un cerchio in cui la chiesa di Roma l’ha legittimata come figlia e ha avallato il suo percorso “eretico” come cammino di “ricerca”: una figlia ribelle, inquieta, ma pur sempre una figlia a tutti gli effetti. Anzi, nelle parole di don Walter Insero, Murgia ha combattuto il buon combattimento, divenendo un esempio di perseveranza nella fede.

Quale fede? È questa la domanda che viene da porsi non tanto per indagare nell’intimo della coscienza di Murgia, ma per capire come e quando i confini del cattolicesimo romano sono diventati così sbiaditi, elastici ed insulsi da poter includere tutto e tutti a qualsiasi costo. Ma a che prezzo?

La sua ultima battaglia nell’esporre le pratiche ed il vissuto della sua “famiglia queer” l’hanno vista sposare in articulo mortis l’amico regista Lorenzo Terenzi, legalmente, e poi celebrare con una grande festa, il legame queer con tutti i membri di questa famiglia. Una famiglia senza ruoli e gerarchie ma con lo scopo di prendersi cura l’uno degli altro. Il suo gesto è stato volutamente politico e figlio di un attivismo militante, ma con che conseguenze per il rapporto con la fede?

Michela Murgia ha fatto parte di un modo sempre più diffuso di fare teologia e cultura: e cioè quello di piegare il Vangelo alle proprie idee. Il partire da sé, essere coerenti con cosa si vuole essere è il vero oggetto di fede. Il Sola Scrittura non solo viene ignorato, ma ripudiato in toto. Cristo è al massimo un esempio di dedizione per gli altri. La dottrina è una sovrastruttura opprimente da cui liberarsi. L’etica cristiana è una gabbia da decostruire. Chiediamoci: un Vangelo che non interroga o mette in discussione le proprie personali idee, ma che diventa malleabile in base alle esigenze di chi dice di abbracciarlo, che valore ha? Per Murgia l’evangelo fa rima con le battaglie del “progressismo” ed è contro ogni forma di “fascismo”, inteso non tanto e non sempre in senso politico, ma come tutto ciò che non si riconosce nel totalitarismo del pensiero queer. Se è vero che il Vangelo ha sempre un messaggio liberatorio, bisogna chiedersi di che libertà si parla.

Al funerale di Murgia, il cattolicesimo sembra aver perso la sua capacità di difendere i suoi presidi “romani” per scioglierli nel suo avvolgimento “cattolico”. Murgia era queer, la chiesa di Roma del “fratelli tutti” e che l’ha assorbita è diventata anch’essa queer? Ma una chiesa queer è una chiesa che può dirsi ancora cristiana?


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