Amicizia, più ce n’è meglio è. Impressioni da Somnium
“Amico è, una cosa che più ce n’è meglio”. Così suona il ritornello della canzone nota anche come “Inno dell’amicizia” che Dario Baldan Bembo cantava a sfondo di SuperFlash, il quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno negli anni 80.
Non è questo lo spazio per l’esegesi di Bembo, che come spesso accade nel pop, riesce a proporre dei prodotti da banco di pronto impiego ma anche di alta deperibilità. Però sarà forse perché “amico” è qualcosa di più di così, che comunque l’autore non è presente tra quelli citati dal Professor Bolognesi nella sua relazione “L’amicizia nella storia”. Titolo che nel tripartito con “L’amicizia nella Scrittura” e “Piste per l’amicizia” ha fatto da fondamento (più che da sfondo) alle calde giornate dell’edizione palermitana della vacanza studio Som, proponendo al contrario riflessioni a lunghissima conservazione…e conversazione.
Ci sono però tra i citati, Platone, Aristotele e Cicerone, che rispettivamente nel Simposio, nell’Etica Nicomachea e nel De Amicitia, su questo tema hanno speso qualche parola in più. Anzi abbiamo appreso che nell’antichità l’amicizia, quasi idolatrata, veniva posta sopra ogni altra relazione umana, matrimonio compreso.
Saltando qualche secolo più avanti, è stato affascinante rileggere Calvino e i riformatori sotto una veste diversa, che sfugge alle lenti che usiamo spesso per guardarli, già pre-focalizzate sull’oggettività della tensione veritativa e sulla rigorosità del pensiero teologico. Si scopre allora un Calvino e un Vermigli in profonda e aperta lacerazione per la morte di cari con cui hanno condiviso un’amicizia che non si ferma all’amicizia in sé e per sé. Amici che, al contrario dell’inno di cui sopra, sanno del gusto amaro della verità, ma non lesinano nel proclamarla e nel condividerne la tensione soggettiva. E così abbiamo ascoltato un Calvino che vive un’intimità dell’amicizia la cui profondità viene in alcuni passi equiparata all’intimità sessuale. E oltre all’Intimità abbiamo riscoperto in Calvino anche l’amicizia come presenza fisica, tanto da desiderare di morire prima dei suoi amici piuttosto che vivere nell’assenza di questo accompagnamento verso Dio. Presenza nella corrispondenza e nelle visite ai compagni Farel e Viret, che sono state da spunto per la rappresentazione teatrale messa su in quattro e quattr’otto da metà della comitiva degli aspiranti amici siculi di adozione nel raro “tempo libero” che sfuggiva all’impeccabile organizzazione del “Treppiede” di questa iniziativa (Silvia, Tonino e Serena).
Già perché così come ieri tra Ginevra, Strasburgo e Losanna i riformatori tessevano le proprie tele amicali per assaporare il Regno di Dio, così è stato al di fuori degli studi pomeridiani tra la trentina di partecipanti di Padova, Vicenza, Ferrara, Milano, Chieti, Roma e Napoli, che in una Palermo arroventata sono stati in grado di rinfrescarsi a vicenda con dialoghi e riflessioni mai banali e con uno spontaneo desiderio di fare propri gli insegnamenti ricevuti durante gli studi pomeridiani.
Di questi sicuramente i primi due intitolati “Amicizia nella Scrittura” hanno fornito materiale in abbondanza per leggere, tra i vari passi, 1 Giovanni 4,7, Giovanni 15,13-15, il Salmo 55 e 1 Samuele 18,1-4 e declinarli nell’amicizia vista come scelta, come obbedienza, come testimonianza, come comunione e come dipendenza. Una declinazione che non è facile da mettere in campo se non si è consapevoli della catechesi valoriale a cui siamo sottoposti. Sulla scelta, ci si arriva forse anche senza basi, ma già sull’obbedienza e la testimonianza, si comincia a togliere terreno da sotto i piedi alle amicizie costruite sul niente.
Perché in fondo, se non a Dio a chi mai dovrebbero obbedire questi amici? E se non di Dio di chi mai dovrebbero testimoniare? Il catechismo valoriale che sentiamo in giro spiega che l’amicizia è un silenzio che può diventare musica, ma nella Scrittura sembra invece impossibile trovare amicizia nel silenzio spirituale.
Consci allora di questa pressione, della confusione ricorrente che costringe spesso il credente alla solitudine, è emersa chiara l’importanza dell’amicizia come comunione. Infine, quel catechismo racconta l’amicizia come un lungo processo di concessioni reciproche. Ma nella Scrittura, tra Davide e Gionatan, sembra invece essere una reazione intuitiva e istantanea, e fondata su basi che precedono l’amicizia stessa.
Come da tradizione, questi ricchi contenuti si sono articolati attorno a escursioni e momenti di ricca socialità. Così non sono mancati cannoli, aperitivi e arancini(e) tra porto, la splendida spiaggia del Mondello e il centro storico. Qui il Pastore Nazareno Ulfo di Caltanissetta ci ha condotti in visita al Palazzo Reale e al carcere Steri, ex sede dell’Inquisizione, nonché in un viaggio sulle “Relazioni nel Libro dei Proverbi” molto interessante soprattutto sullo sfondo del matrimonio.
Oltre a un’ultima relazione sull’identità portata in streaming dal Pastore Tonino Memme, sono state utili le piste per l’amicizia lasciate dal Prof. Bolognesi in vista di un’amicizia per una reciproca fiducia, per un autentico riferimento a Dio e per una piena consapevolezza.
Soprattutto quest’ultima ha aiutato a riflettere, oltre che sull’orientamento anche sulla valorizzazione del tempo e delle risorse dedicate all’amicizie, in una comprensione che forse mal si sposa con la formula “più ce n’è meglio è” dell’inno a incipit.
In quest’ottica, un altro inno all’amicizia è stato musicato e scritto in tempi record a conclusione della settimana dall’altra metà della comitiva che non era sul palcoscenico della recita. Nel suo taglio decisamente diverso, fa riflettere il fatto che questo tema sembra essere assente dagli innari evangelici. Dunque, pur nella consapevolezza che non si riuscirà a trasmettere qui nero su bianco ciò che al di là dello stretto si è recepito a colori e a vibrazioni, si vuole concludere lasciandone di seguito il ritornello:
L’amicizia è un dono Tuo Signore
Non meritavamo tanto amore
Tu hai scelto di dar la Tua vita
E ora siamo amici Tuoi