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C’è ancora domani. Sicuri che il voto salva?

Prima di tutto: se non hai ancora visto il film e vuoi vederlo, non leggere l’articolo! Il primo film come regista di Paola Cortellesi, che sta spopolando nelle sale e che sta riscontrando un grande successo della critica, infatti, mantiene la tensione della storia per tutto il tempo fino ad arrivare ad un finale inaspettato che restituisce tutto il senso del racconto e che svela anche i veri intenti della regista.

C’è ancora domani (2023) piace molto perché non è un film che lascia indifferenti e che tocca corde molto profonde della sensibilità sia di uomini che di donne nonostante sia una di quelle storie cosiddette “al femminile”. Il film racconta di una Roma appena uscita dalla Seconda guerra mondiale, con le strade ancora occupate dai soldati americani in cui si aspetta di decidere se l’Italia resterà una monarchia o diventerà una Repubblica. In questo contesto di povertà, precarietà, di ricostruzione dopo il grande trauma collettivo, si innestano le vicende della famiglia di Delia: comuni, normali, ordinarie, così come chiunque può averle apprese dai racconti di nonni, genitori, conoscenti che quegli anni li hanno vissuti in prima persona.

Delia ha sposato Ivano dopo il ‘15-18: insieme hanno avuto tre figli e, con non pochi sacrifici, soprattutto di lei, tirano a campare occupandosi anche dell’arcigno suocero che vive in casa con loro. Ivano è un uomo spregevole. La loro vita matrimoniale è fatta soprattutto di continue violenze di lui su di lei, dei suoi tradimenti e dell’impassibilità, di fatto, di chiunque sappia che Delia viene picchiata quotidianamente dal marito. La compassione delle amiche o delle vicine, infatti, non sfocia mai in nessuna azione di denuncia o di bando verso Ivano. Del resto, anche nelle famiglie del film in cui non ci sono soprusi di questo tipo, le donne vengono considerate di proprietà dei mariti e le loro parole non meritevoli di attenzione. Le violenze non vengono mai mostrate, ed anzi vengono ricondotte in danze, ma la brutalità con cui il marito tratta la moglie e la completa assuefazione, impassibilità e totale accettazione di lei, rendono comunque il film toccante e per certi versi disturbante.

Delia fa quattro diversi lavori per compensare l’incapacità del marito e per mantenere i suoi figli, proteggendo soprattutto sua figlia più grande per la quale sogna un matrimonio ben combinato e meno violento del suo. È una donna forte, tenace, sorridente nonostante tutto, dedita alla famiglia e senza grilli per la testa. Conosce il suo ruolo al quale non si ribella, si accontenta dei piccoli piaceri quotidiani e per questo lo spettatore è portato a sperare per tutto il film che lei riesca a scappare come la trama sembra suggerire. Delia infatti, custodisce una lettera, una lettera segreta nella quale si perde sognante quando le giornate sono insopportabili. Delia prova anche a sbarazzarsi della lettera per attenersi al suo ruolo di moglie e madre. Tuttavia, quando scopre che anche il distinto fidanzato di sua figlia, in realtà, vuole sposarla per controllarla e possederla come un oggetto di sua proprietà, prende coraggio e decide di correre verso la libertà. 

Nonostante tutto il film sembri suggerire che la libertà sia tra le braccia di un vecchio spasimante che si offre di liberarla più volte, in realtà la corsa avviene il 2 giugno 1946 e la direzione sono le urne. Per la prima volta le donne hanno diritto di voto e possono esprimere la propria idea al referendum per decidere tra monarchia e repubblica. Delia riesce ad arrivare, ovviamente di nascosto e, insieme a decine di donne di diverso ceto sociale, dice la sua per la prima volta. Sul finale, il marito la raggiunge per picchiarla ancora una volta per una simile mancanza di rispetto, ma la sua violenza sembra neutralizzata dal fiume di donne che occupa il seggio elettorale. Delia riesce ad andare verso di lui fiera e a testa alta, senza più paura e con la decisione di far studiare sua figlia piuttosto che augurarle un matrimonio asfissiante.

Il film è potente e purtroppo non si discosta molto dalla realtà. Non è un’esagerazione della regista raccontare di famiglie in cui le donne sono state vessate, maltrattate e completamente lasciate sole da un sistema che ha tollerato la violenza. È bello vedere celebrata con un’opera artistica la vita anonima di migliaia di donne che, con sacrifici e dedizione, hanno contribuito alla costruzione di un paese distrutto dalla guerra e dalla povertà. Detto ciò, alla fine sorge una domanda: davvero si vuole trasmettere che l’idea che l’autodeterminazione attraverso il voto politico sia in qualche modo salvifica?

Se fosse così semplice, che posto avrebbero le continue notizie di femminicidio o di ingiustizie perpetrate contro le donne? Nel 2023 le donne, ormai da tempo, hanno diritto allo studio, al lavoro, alla libertà sessuale, al voto. Per la prima volta, l’Italia ha anche eletto una premier donna le cui vicende recenti, però, dimostrano che non basta studiare, sfuggire al matrimonio e diventare politiche di eccellenza per sottrarsi ai meccanismi di mascolinità distorte

Non è forse controfattuale e fuorviante continuare a suggerire alle donne che basta non sposarsi e ottenere quanti più diritti possibili per scampare a modelli disfunzionali? È veramente la contrapposizione tra possesso maschile vs. autodeterminazione femminile che costruirà società più eque e rispettose? Dai risultati fin qui ottenuti non sembra. Perché allora non aprirsi alla lettura biblica che suggerisce che alla base di tali ingiustizie ci sia un problema più radicale (il peccato) di cui tutti dobbiamo pentirci e da cui tutti dobbiamo prendere le distanze per aprirci ad una “nuova vita”? Per quanto fondamentale, non sarà il diritto di voto ad eliminarlo.

Il matrimonio, così come la carriera o l’accesso alla vita politica, potranno essere spazi di vita protetti e sereni solo quando verranno affidati alla guida di Cristo e riformati secondo le verità del Vangelo. La “buona notizia” ricevuta, creduta e vissuta riconduce a categorie di giustizia, amore, servizio e cura reciproca attuabili grazie alla potenza trasformante della Parola tramite l’opera dello Spirito Santo.


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