Cambiano i ruoli ma lo schema è lo stesso. Come il cattolicesimo fa giocare “progressisti” e “conservatori” nella stessa squadra
In ogni squadra che si rispetti ci sono gli attaccanti e i difensori. I primi cercano di sfondare le linee avversarie e creare spazi per affondare il colpo vincente. I secondi provano a impedire le folate altrui e a tenere “coperta” la squadra in modo che non si sbilanci troppo. In una grande organizzazione come il cattolicesimo romano, ci sono ruoli diversi. C’è chi (come gli attaccanti) si occupa di esplorare terreni nuovi e di spingere in avanti i confini della cattolicità. D’altra parte, c’è chi (come i difensori) difende l’assetto tradizionale cercando di tenere in equilibrio il sistema.
Dopo il Vaticano II, questo “gioco” dei ruoli è stato molto evidente. Mentre molti teologi spingevano verso la liberalizzazione della morale sessuale, Paolo VI scrisse la Humanae Vitae (1968) per fissarla ai principi “naturali” e contro la rivoluzione di quegli anni. Più avanti, mentre il cardinal Martini a Milano apriva nuovi dialoghi con i “non credenti” e i gesuiti esploravano forme di spiritualità cristiano-buddista e cristiano-induista, Giovanni Paolo II riaffermava la centralità della Chiesa di Roma e del suo sistema sacramentale. Mentre Gustavo Gutierrez e Leonardo Boff elaboravano la teologia della liberazione aprendosi ad analisi e ricette marxiste, l’allora cardinal Ratzinger condannava ogni ricorso al linguaggio e agli strumenti dell’ideologia comunista. Insomma, c’era chi andava avanti cercando nuovi territori per la cattolicità e c’era chi difendeva il deposito “romano” e la struttura tradizionale. L’apparente contrasto era in realtà funzionale al gioco di squadra: da un lato allargava il campo, dall’altro teneva la barra al centro. In genere, il ruolo degli attaccanti era affidato a teologi (anche cardinali) “creativi”, mentre quello dei difensori era svolto dal papa regnante e dagli uffici della curia romana preposti alla difesa della dottrina cattolica.
Con papa Francesco, il gioco di squadra è rimasto lo stesso, ma i ruoli sono cambiati. Con Francesco, il papa è passato dal ruolo di difensore a quello di attaccante. E’ lui che forza la dottrina tradizionale e la rende “elastica” e avvolgente. E’ lui che dice: “chi sono io per giudicare?”. E’ lui che dice agli atei: “seguite la vostra coscienza e siete a posto”. E’ lui che dice ai musulmani: “pregate per me”. E’ lui che dice a tutti: “siamo tutti fratelli e sorelle”: il suo papato “in uscita” svolge quel compito che un tempo anche non troppo lontano era affidato a teologi di frontiera che andavano oltre il seminato e aprivano varchi per l’espansione della cattolicità. In passato era il papa a difendere, con Francesco è il papa ad attaccare. Questo cambio di ruolo ha spiazzato molti osservatori, dentro e fuori la chiesa di Roma. Eravamo stati abituati ad avere papi che giocavano come Romeo Benetti (chi ha più di 50 anni ricorda il mitico mediano dai modi spicci, ruvidi ma efficaci) e ora abbiamo un papa che s’invola sulle corsie esterne e dribbla come Bruno Conti (mitica ala dell’Italia campione del mondo 1986).
Se il papa attacca, chi difende allora? In questi ultimi mesi, il compito del difensore è stato svolto da chi per statuto deve farlo e cioè dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex-Sant’Uffizio), il cui prefetto è il gesuita cardinale spagnolo Luis Ladaria. Due esempi recenti. In una nota dell’agosto 2020, la Congregazione ha stabilito che non è valido il battesimo che viene amministrato dicendo “Noi ti battezziamo” invece del canonico “Io ti battezzo”. Vi sono stati casi di preti che, essendo stati battezzati con la formula “comunitaria” sono stati ribattezzati e devono ora ribattezzare tutti quelli che a loro volta hanno battezzato perché il loro battesimo non era valido. Per alcuni questa è una pignoleria lessicale contraria alla prassi ecumenica, per Roma invece è questione di sostanza. Questa presa di posizione rigida ha mostrato che, mentre il papa attaccante chiama tutti “fratelli e sorelle” e dice che “siamo tutti figli di Dio” mostrando di avere un atteggiamento inclusivo, la Congregazione in difesa mette paletti e dice: “mica tanto; solo chi è stato battezzato non solo con l’acqua e non solo invocando la Trinità, ma anche con la formula liturgica giusta” ha ricevuto il sacramento. Uno attacca, uno difende: il sistema non cambia ma è dinamico.
L’altro esempio è ancora più recente. Sempre la Congregazione presieduta dal cardinal Ladaria ha reso pubblico la Lettera Samaritanus Bonus, in cui si condanna l’eutanasia senza se e senza ma. Mentre la Pontificia Accademica della Vita (il dicastero vaticano dedicato alla bioetica) aveva assunto posizioni “comprensive” sul suicidio assistito e sull’eutanasia, mentre papa Francesco dice che la chiesa è un “ospedale da campo” per tutti e che la misericordia copre tutto, la Congregazione dice che chi sostiene l’eutanasia e la cultura dell’autodeterminazione è fuori dal seminato cattolico. Uno apre, l’altro chiude. Il risultato è che il sistema è in movimento senza muoversi. In questi ultimi anni, sia l’attaccante (papa Francesco) che il difensore (il cardinal Ladaria) sono gesuiti. Sarà un caso? Forse no. In ogni caso, hanno ruoli diversi, ma la stessa appartenenza all’ordine di Ignazio di Loyola e la stessa militanza per la chiesa che è allo stesso tempo “cattolica” (dinamica) e “romana” (stabile).