Cattolici ma non troppo e a modo nostro. Gli italiani in un sondaggio del Censis
Cosa credono gli italiani? A chiederselo è stata la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che ha commissionato un’indagine al Censis alla vigilia della prima Assemblea sinodale, in programma dal 15 al 17 novembre. Il sondaggio è stato svolto nel periodo dal 27 settembre al 1 ottobre 2024 e i risultati sono stati commentati da Matteo Liut sull’Avvenire.
Perché un sondaggio proprio ora? Come da più parti sottolineato, la chiesa sinodale è il trend del momento del cattolicesimo anche se è difficile riassumere cosa si voglia veramente intendere con questo movimento. Resta un concetto un po' vago nonostante il Sinodo sulla sinodalità sia finito ed emergano parole chiave come comunione, partecipazione, missione e inclusione. Il “nessuno escluso” era già stato al centro di un documento uscito dal Vaticano il 27 ottobre 2022. I temi centrali erano le questioni del ruolo delle donne, l’accoglienza delle persone Lgbtq, lo scandalo degli abusi, le sfide di razzismo e tribalismo, il dramma delle guerre e delle violenze e la difesa della vita fragile. La sfida emersa per la chiesa cattolica era, e resta, quella di capire come agire quando ci sono spinte provenienti da persone in stati di vita “irregolari” e per essere accolti dalla chiesa pur senza porsi il problema di cambiare.
La commissione di questo sondaggio sembra essere parte del processo sinodale con cui la chiesa sta cercando di avvicinarsi ai fedeli e alle loro esigenze. Pare un tentativo di capire e interpretare le sensibilità delle persone e il proprio grado di fiducia. Commissionare sondaggi in sé non è un problema, ma dipende da come si intende usarli. La chiesa vuole comunicare meglio le sue verità affinché vengano recepite o vuole trasformarsi per restare il soggetto culturale più influente?
Su un altro versante, emerge una popolazione dalla spiritualità confusa. Il 71% degli intervistati si dice cattolico, ma di questi solo il 15% si definiscono “praticanti”. In pratica gli italiani confondono, per lo più, le loro radici culturali e le tradizioni sociali a cui aderiscono con la loro confessione religiosa. Quando si tratta di specificare in cosa credono o come vivono la propria spiritualità, la percentuale di coloro in grado di dare risposte aderenti alla fede cattolica si assottiglia drasticamente.
Il dato ancora più significativo è che più del 60% degli intervistati ritiene che la Chiesa cattolica dovrebbe adattarsi alle esigenze della cultura contemporanea e aprirsi alle spinte inclusive che vengono dal basso. Gli italiani, spinti anche dell’individualismo della cultura secolare, si sentono al sicuro nel riconoscersi nel filone della tradizione cattolica, ma vivono la loro devozione in modo del tutto sconnesso e individualista. Inoltre, ritengono che sia il cattolicesimo (i preti, il magistero, le istituzioni ecclesiastiche) a doversi avvicinare alle esigenze della società e a “svecchiarsi”, non loro a cambiare.
Nella cultura della post-verità, gli italiani che si riconoscono come cattolici si aspettano che la Chiesa possa andare incontro alle loro esigenze emotive e alla loro spiritualità individuale piuttosto che aspettarsi linee guida e certezze che ricalchino la tradizione codificata. Contemporaneamente, il cattolicesimo, nelle sue mille sfaccettature, porta avanti percorsi di inglobamento di sempre più persone senza però chiedere loro di passare per il riconoscimento del peccato, la confessione di esso ed il ravvedimento secondo l’evangelo.
Come evangelici questi risultati ci pongono davanti alla realtà del fatto che operiamo in un contesto in cui la maggior parte delle persone che ci circonda si sente sicura e protetta nel solco di una tradizione religiosa che li fa sentire appartenenti a una chiesa di riferimento ma che non ha voglia, né abitudine di mettere in discussione né il proprio vissuto né la propria devozione. Una larga maggioranza non ha familiarità con il riconoscimento che la Scrittura sia la Parola di Dio, con Chi sia al centro dell’evangelo e con cosa sia la Buona Notizia. Inoltre, essa non è disposta a vagliare la propria vita in base a questa verità, anzi si aspetta che la Tradizione romana venga cambiata e piegata alle sue esigenze. Inoltre, il riconoscimento del peccato e il ravvedimento sembrano essere del tutto assenti dall’immaginario comune e ciò rende difficile la testimonianza evangelica. Il substrato dell’appartenenza sociale e culturale al cattolicesimo rimane, coperto da istanze figlie dell’individualismo moderno. Riuscirà il cattolicesimo romano a rimanere “romano” (legato alla tradizione) pur volendo incrementare la sua “cattolicità” (l’inclusione di tutti)?