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Cristiani non solo di nome (III). La centralità della conversione

Il nome "cristiano" significa qualcuno/a che ha risposto personalmente alla grazia di Dio nel pentimento e nella fede. Il Vangelo è sia un annuncio dell'intervento di Dio per salvare, sia un invito a rispondere con fede. Nei termini di David Bebbington, il “conversionismo” (insieme al biblicismo, al crucicentrismo e all'attivismo) cattura il cuore del cristianesimo evangelico in quanto riconosce la centralità di un incontro personale con Gesù Cristo che porta al perdono dei peccati e a una vita cambiata.[1] Contro l'idea che l'evangelicalismo sia solo un figlio della modernità, vale la pena citare John Stott quando sostiene che l'evangelicalismo non è "un 'ismo' nuovo, né un marchio moderno di cristianesimo, ma una forma antica, anzi quella originale".[2]

L'ingiunzione di Gesù a Nicodemo "Devi nascere di nuovo" (Gv 3,7) diventa fondamentale per ogni persona. La rigenerazione mediante la conversione è la soglia necessaria per la salvezza e quindi per essere riconosciuti cristiani e si realizza per opera dello Spirito Santo mediante la predicazione e la testimonianza del Vangelo, a cui le persone rispondono con pentimento e fede.[3] La salvezza non viene semplicemente dall'essere nati in una famiglia cristiana, né dall'essere parte di un ambiente cristiano. Nemmeno essere un membro formale di una chiesa cristiana, né aver ricevuto un sacramento di iniziazione cristiana è sinonimo di essere salvato. Non è per merito, non è per opere, non è per tradizione, non è per sacramenti: è solo per grazia mediante la conversione a Gesù Cristo.

L'esperienza personale della salvezza introduce le persone nella vita cristiana. Riflettendo sulla centralità della conversione per quanto riguarda un resoconto evangelico dell'iniziazione alla fede cristiana, Holmes sostiene che “gli evangelici sono coloro che predicano un vangelo di una conversione puntilineare e di una certezza immediata disponibile attraverso la sola fede”.[4] Questo non vuol dire, tuttavia, che vi sia un unico modello e una sola tempistica di conversione. A questo proposito, Klaas Runia giustamente afferma che “quando si tratta della 'forma' della conversione, ci sono alcune differenze di opinione tra gli evangelici (la conversione è istantanea, in modo che si possa menzionare il tempo e il luogo, o è più un processo?) ma generalmente gli evangelici non prescrivono un metodo o una manifestazione particolare. L'accento è posto sul fatto della conversione, non sulla sua forma particolare”.[5]

Il fatto della conversione personale è ciò che fa la differenza nel rispondere alla domanda: chi è cristiano e chi no? La maggior parte dei cristiani convertiti può identificarsi con le parole di John Newton (1725-1807) che nel suo inno di fama mondiale Stupenda grazia poté scrivere: “Ero perduto, ma ora sono stato ritrovato / Era cieco ma ora vedo”. Le storie personali possono variare notevolmente, ma sono tutte caratterizzate da una conversione personale che può essere raccontata in una biografia personale. Il cristianesimo biblico secondo lo schema antiocheno è una religione conversionista e ogni cristiano ha bisogno di essere educato ad essere sempre pronto a dare la sua personale “testimonianza”, cioè un resoconto della sua conversione e del suo cammino personale con il Signore.

Giovanni 3,16 è un esempio di un versetto biblico in cui il Vangelo della salvezza di Dio e la responsabilità dell'uomo di credere sono magistralmente condensati. I cristiani sostengono, memorizzano e usano ampiamente Giovanni 3,16 nel loro pellegrinaggio spirituale e nell'evangelizzazione personale perché combina l'amore di Dio manifestato in Cristo e la risposta ad esso mostrata nella fede personale.

Il vocabolario della conversione non è affatto esclusivo della tradizione evangelica. Appartiene alla lingua comune a tutte le versioni del cristianesimo perché è una parola biblica. Il fatto, però, è che gli evangelici tendono a intendere la conversione come un "hapax", un volgersi una volta per tutte a Dio con pentimento e fede, attribuendo ad essa una dimensione salvifica e una certezza di salvezza, altre tradizioni (come il cattolicesimo) tendono a intendere la conversione come parte del continuo cammino religioso e un appello al rinnovamento quotidiano. La parola è la stessa, ma il significato è diverso. In ogni caso, un cristiano non convertito è una contraddizione interna, un ossimoro. Bisogna essere chiari su cosa significhi la conversione a Gesù Cristo e sui suoi effetti sulla vita.

Tratto ed adattato dal saggio “To Be Or Not To Be: Exercising Theological Stewardship Of The Name Christian”, Foundations No.82 Spring 2022, pp. 8-22.

 

Della stessa serie:
“Cristiani non solo di nome (I). Si parte da Antiochia”
“Cristiani non solo di nome (II). Da Losanna a Città del Capo”

(continua)

[1] D.W. Bebbington, Evangelicalism in Modern Britain. A History from 1730s to the 1980s, London, Unwin Hyman 1989.
[2] J. Stott, Christ the Controversialist, London, IVP 1970, p. 33. Nello stesso libro, Stott sostiene che il cristianesimo evangelico è “teologico”, “biblico”, “originale” e “fondamentale”, pp. 27-46.
[3] J. Piper, Finalmente vivi. Cosa accade nella nuova nascita, Porto Mantovano (MN), Coram Deo 2014.
[4] S.R. Holmes, “Evangelical Doctrine: Basis for Unity or Cause of Division?”, Scottish Bulletin of Evangelical Theology 30:1 (2012) p. 64.
[5] K. Runia, “What is Evangelical Theology?”, Evangelical Review of Theology 21:4 (1997) p. 299.


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