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Discepolato? Il problema è (anche, forse soprattutto) culturale

Come tutte le altre manifestazioni di vita cristiana, anche il discepolato accade in un contesto particolare: quello di una data cultura. Esso non è un discorso astratto, ma è profondamente calato in uno spazio geografico, in un luogo culturale, in un tempo storico, in una dinamica sociale, in una realtà ecclesiale. Dove, quando e come accade è tanto importante quanto il cosa avviene. 

La presunzione di fondo di molti dei programmi di discepolato circolanti nell’Italia evangelica è che quello che funziona negli USA o in Gran Bretagna o in certi paesi dell’America Latina (ammesso e non concesso che funzioni) deve funzionare dappertutto per una legge di universale trasferimento a tutto (il mondo) della parte (nord-americana, britannica, latino-americana). Ovviamente così non accade, ma non sembra che vi sia molta consapevolezza di ciò. La trasferibilità del discepolato da una cultura all’altra è basata sulla profondità della matrice biblica dello stesso, non dalle ricette culturali specifiche di una data cultura. Più è profondo lo scavo biblico, più densa è la saturazione biblica, più impregnato di evangelo è il discepolato praticato, più si potrà osare di pensare e realizzare forme di condivisione tra culture.

Il discepolato non è una ricetta definita in un modo unico e che va bene per tutti; e nemmeno un vestito di taglia unica e unisex che tutti devono/possono indossare allo stesso modo. Va pensato ed attuato nella sua radicalità biblica e nella sua adeguatezza culturale. L’impressione è che molti programmi offerti siano superficiali nella profondità biblica e scarsamente consapevoli delle specificità culturali.

La mescola della cultura italiana è refrattaria al discepolato per ragioni profonde e storicamente sedimentate. Alcuni germi contrari sono stati inoculati e sono lievitati nel corso dei secoli andando a formare una pasta ostile ad essere raffinata e riformata dalla Parola di Dio. Non basta qualche tecnica importata o qualche metodo scopiazzato per scalzarla. I “programmi” di discepolato non attecchiscono non solo per una scarsa inculturazione in ingresso, ma anche per mancanza di una “cultura del discepolato” in ricezione. Anche nell’Italia evangelica si parla di discepolato, e non da oggi. Le idiosincrasie culturali si manifestano in una serie di fenomeni che vanno analizzati sul versante dell’offerta e della domanda e nel (per lo più mancato) punto d’incontro.   

Sul versante dell’offerta, negli ultimi decenni sono stati fatti passi notevoli nella messa a disposizione del pubblico evangelico italiano di risorse per il discepolato: libri, corsi, convegni, video, ecc, non mancano. Chi ancora si esibisce nella lamentela: “ma in italiano c’è poco o niente”, mostra di essere ignorante dei tanti strumenti che già ci sono. Basta un rapido sguardo ai cataloghi delle case editrici evangeliche e delle riviste teologiche evangeliche; basta semplicemente informarsi sulle possibilità formative di eccellenza a disposizione, per rendersi conto che chi avanza ancora una simile scusa non sa ciò di cui sta parlando. La criticità maggiore dell’offerta non sta nelle risorse, per quanto migliorabili e aumentabili. Il punto più dolente sta nella scarsità e nella scarsezza dei discepolatori.  

Sempre sul versante dell’offerta, va anche sottolineato che solo chi è stato discepolato può discepolare con qualche autorevolezza ed efficacia. Prima di voler discepolare altri, bisogna essere stati discepolati: aver imparato la grammatica minima della fede cristiana, aver appreso una visione del mondo biblicamente fondata, aver acquisito un senso “cattolico” della chiesa evangelica, aver radicato la fede nella memoria del popolo cristiano, aver assimilato l’esistenza di una tradizione evangelica fatta di libri, riviste, convegni, punti di riferimento. Pietro Bolognesi ha parlato della necessità di una cultura della scolarità, che incoraggi lo studio serio, il dibattito e la formazione; di una cultura dell'identità che miri all'assorbimento e alla valorizzazione del pensiero evangelico da parte degli evangelici stessi; di una cultura dell’unità, che tracci una strada capace di compattare il mondo evangelicale, superando gli inutili particolarismi di cui esso è affetto[1]. Solo così si potrà aggredire cristianamente parlando la secolare resistenza culturale italiana al discepolato evangelico.

(tratto da Leonardo De Chirico, Chi e dove sono i discepoli?”, Studi di teologia N. 64 (2020) pp. 83-95. Per acquistare il fascicolo di Studi di teologia puoi rivolgerti a ifed@libero.it o alla tua libreria evangelica preferita)


[1] Da una relazione sulle “Prospettive per la formazione teologica in Italia” tenuta a Roma, presso la Chiesa battista di Trastevere, il 20/1/200l.


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