Eugenio Scalfari, Repubblica e la “terza chiesa”
Con Eugenio Scalfari (1924-2022) se ne va una voce importante della cultura italiana dell’ultimo quarto di ventesimo secolo. Giornalista, saggista, imprenditore dell’editoria, Scalfari ha attraversato la storia d’Italia diventandone una coscienza critica e ispiratore di cambiamento. Con la fondazione del quotidiano Repubblica (1976), di cui è stato l’anima giornalistico-imprenditoriale, ha impresso all’opinione pubblica italiana una sferzata tale da avere un impatto così forte che la cultura rappresentata sulle pagine di Repubblica, da essere una voce di minoranza allora, è oggi diventata mainstream in Italia.
Per provare a capire Scalfari, bisogna partire dalla geografia polarizzata della cultura italiana del dopoguerra. In Italia c’erano due “chiese”, due mondi di riferimento culturali ed istituzionali prevalenti: da un lato il cattolicesimo nelle sue varie componenti e nel suo braccio politico costituito dalla Democrazia Cristiana; dall’altro c’era il comunismo di cui il PCI era la forma organizzata. Entrambe erano “chiese”: mondi portatori di una propria ideologia complessiva attorno ai quali la società italiana orbitava.
In questo quadro determinato dal confronto-conflitto, ma anche inciucio, tra cattolicesimo e comunismo, Scalfari ha interpretato le istanze di una “terza cultura”: liberale, radicale, modernizzatrice, portatrice di una critica ai dogmatismi delle “due chiese” in nome dei diritti individuali, di un approccio post-ideologico alle grandi domande della vita, della spinta di una borghesia imprenditoriale a cui i due forni catto-comunisti stavano stretti. Questa terza cultura in Italia è esistita anche prima, ma sempre come voce di minoranza e con una sorta di diritto di tribuna (per certi versi ininfluente) rispetto allo strapotere della cultura cattolica e comunista.
Repubblica non è stato solo un giornale. Con la sua innovazione editoriale, grafica e culturale, il giornale ha raccolto intorno a sé un fermento che è ben presto diventato qualcosa di ben più di un quotidiano. E’ diventata una “chiesa”, una terza chiesa che è riuscita via via a scalzare le altre due. Certo, con la caduta del Muro di Berlino e la profonda trasformazione del quadro politico-culturale a livello mondiale, il comunismo e il cattolicesimo sono entrati in crisi ovunque. Repubblica ha dato voce in Italia all’emersione di una cultura lib-lab (liberale socialista), interpretando le istanze di cambiamento libertario della società civile, soffiando sull’urgenza di affrontare la questione morale della classe politica, diventando sempre più una “chiesa” che aveva un punto di vista su tutto, anzi una serie di dogmi post-ideologici (ma pur sempre dogmi) e che si poneva con atteggiamento di superiorità (talvolta di supponenza) nei confronti di altri orientamenti.
Si può dire che la terza chiesa di cui Repubblica è stato il foglio di riferimento e Scalfari uno dei sacerdoti principali sia diventata la chiesa mainstream dell’Italia di oggi. Tutti i grandi quotidiani (dal Corriere a La Stampa) si sono in un modo o nell’altro “repubblicanizzati”: sono diventati copie di Repubblica sotto altra testata. I media in generale si sono “repubblicanizzati”, così come il generone della cultura italiana è diventata una sorta di grande Repubblica. Scalfari, che aveva iniziato come voce critica e di minoranza, è diventato tramite le sue imprese editoriali la voce del conformismo culturale.
La cultura evangelica in Italia ha sofferto lo schiacciamento storico operato dalla cultura cattolica e da quella comunista. Entrambe le culture sono state ostili al pluralismo e alle minoranze. Per questo motivo, gli evangelici sono stati sensibili alle istanze della cultura “laica” che provava ad aprire uno spazio di agibilità per i non aderenti alle chiese cattolica e comunista. Anche per questo lo scossone portato da Repubblica con le sue lenzuolate di istanze liberali e sociali aveva suscitato un qualche sussulto nel mondo evangelico italiano. La scomparsa di Scalfari permette di fare un seppur provvisorio abbozzo di bilancio. Che ne è stato delle promesse della terza cultura?
Mi limito a due rapide osservazioni. Nonostante le sue ostentate aperture culturali, Repubblica non ha fatto emergere il pluralismo religioso in Italia, ma si è ben presto conformata a rappresentarlo in modo monotonale e ripetitivo. Se si pensa che i temi religiosi sono stati nel tempo affidati alle voci cattoliche “progressiste” di un Enzo Bianchi e più recentemente di un Vito Mancuso, si capisce che Repubblica ha scelto un solo punto di vista, escludendo gli altri. A nessun evangelico è stata data la possibilità di collaborare per discutere di fede e dintorni. Il risultato è che, con Repubblica, l’Italia non è cresciuta nella consapevolezza del pluralismo, ma ha fatto apologetica per un cattolicesimo post-dogmatico e flirtante col dissenso, ma sempre dentro la sintesi cattolica.
L’altra osservazione è che la “terza cultura” che era nata anche per criticare le chiusure del cattolicesimo e del comunismo è diventata anch’essa chiusa, dogmatica, intollerante verso altri sguardi sulla realtà, portatrice di un senso di superiorità morale ed intellettuale su chi esprime posizioni diverse. La cultura di Repubblica è diventata prevedibile e prescrittiva. Si può dire che, a dispetto delle promesse di rompere le rigidità catto-comuniste e di aprirsi alla curiosità intellettuale, Scalfari abbia introdotto un altro sistema di pensiero chiuso. La terza chiesa non è così diversa dalle altre due.
Nell’ultima fase della sua vita, Scalfari, sempre dichiaratosi ateo, ha scritto molto su temi di spiritualità, anche attraverso la frequentazione di papa Francesco. Anche al papa ha voluto mettere in bocca cosa la cultura di Repubblica vorrebbe che un papa e tutto il mondo credesse: che ognuno chiama dio se e come vuole tanto non fa differenza, che ognuno fa quello che la sua coscienza gli dice di fare senza rispondere a istanze esterne, che i credenti che hanno convinzioni forti sono brutti e cattivi, che la melassa post-ideologica è l’unico brodo che c’è. Questo è il “vangelo” di Scalfari a cui anche papa Francesco ha prestato il fianco.
La promessa di modernizzazione con cui si è aperta la stagione di Repubblica è stata in realtà un’altra pagina dell’autunno di una cultura (quella italiana) che ancora aspetta una stagione riformatrice che apra spazi di pluralismo e civiltà.