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Evangelici e media (I). Abitiamo il mondo dei media in modo cristiano?

“Evangelici e media” è stato il tema della 36ma edizione delle Giornate teologiche (7 e 8 settembre) tenute a Padova presso l’IFED. Relatore internazionale è stato il pastore e blogger canadese Tim Challies, autore di alcuni importanti libri sul rapporto tra fede e tecnologia tra cui La storia che verrà. Vita e fede dopo l’esplosione digitale (2012).

Nel corso della sua prima sessione intitolata “Teologia dei media: comunicazione, mediazione, verità”, Challies ha rilevato come frequentemente non si evinca alcuna differenza tra il modo in cui cristiani e non cristiani si approcciano all’uso della tecnologia digitale. C’è il pericolo concreto che anche i credenti possano cadere nella tentazione di innalzare e servire ciò che è stato creato al posto del Creatore. Dopotutto, l’idolo è qualsiasi cosa prenda il posto e l’importanza di Dio. Se la tecnologia diventa la fonte della nostra felicità, essa occuperà il posto che spetta al Signore divenendo un idolo. Per questo abbiamo bisogno di un sano approccio biblico e di menti rinnovate.

Challies ha elencato tre generici approcci alla questione. Il primo è il cosiddetto “abbraccio entusiasta”, cioè la tendenza ad abbracciare frettolosamente e acriticamente qualsiasi novità tecnologica senza valutarne i rischi a medio-lungo termine. L’esatto opposto è rappresentato dalla “separazione rigorosa”, un approccio di tutti coloro che sono semplicemente impauriti dalle tecnologie. Il terzo approccio è il “discernimento disciplinato” che si basa sulla riflessione ponderata, grazie alla quale si può accogliere ciò che c’è di buono e rigettare ciò che non lo è, nel quadro della visione biblica del mondo.

Dobbiamo ricordarci che parte del mandato culturale di Genesi 1 prevede che l’essere umano amministri la terra. Per fare ciò è necessaria l’invenzione di strumenti tecnologici. Ma cos’è la tecnologia? Solitamente definiamo la tecnologia come qualunque cosa che sia stata inventata dopo di noi, ma in realtà anche ruota, scrittura e libro sono tecnologie che modellano la creazione per scopi pratici o per facilitarci la vita. Ma è vero che la tecnologia ha migliorato la vita? Il peccato ha rovinato tutto, inclusa la tecnologia, quindi l’uomo ha la facoltà di utilizzarla per il bene oppure per il male. 

Noi tendiamo a vedere subito le potenzialità di una nuova tecnologia, ma rimaniamo spesso ciechi di fronte ai rischi. Ad esempio, le potenzialità del telefono sono enormi. Ci illudiamo di poterlo governare, ma scopriamo col tempo che è lui a governare noi. Per Challies, è necessario applicare un discernimento disciplinato affinché possiamo approcciarci alle tecnologie con pacatezza, coscienti che, anche quando utilizziamo la tecnologia, dobbiamo farlo alla sola gloria di Dio. Le sfide dell’intelligenza artificiale, del transumanesimo e della realtà aumentata sono banchi di prova per la cultura evangelica: riuscirà a non farsi sopraffare?

Nella seconda relazione “Abitare il mondo dei media per la gloria di Dio”, Challies ha esordito ricordando che la maggior parte dell’avanzamento tecnologico è avvenuto negli ultimi due secoli anche se è solo con la sapienza antica che è possibile sfruttare queste tecnologie sempre maggiori e migliori alla gloria di Dio.

Le nuove tecnologie hanno incrementato le interazioni tra esseri umani e con esse amplificato la loro portata distruttiva. Per questo è importante abitare il mondo dei media come un “figlio di Salomone”. Proverbi 6,16-19 insegna le sette cose che Dio odia; esse fanno tutte riferimento alle relazioni umane. Da queste indicazioni possiamo comprendere come comportarci per vivere bene anche nel mondo dei media. Dio odia gli occhi alteri, la lingua bugiarda, la violenza, il cuore che medita disegni iniqui, i piedi che corrono frettolosi al male, il falso testimone che proferisce menzogna e chi semina discordia tra i fratelli. Invece, Dio ama gli occhi umili; ama chi diffonde la verità; ama quando i suoi figli si amano tra di loro, non solo nel cuore ma anche nelle loro parole e nelle azioni; Dio ama quando i suoi figli mostrano la loro unità e la esprimono in modo pratico; ama chi corre verso l’altro per benedirlo, curarlo e proteggerlo. Tutte queste indicazioni bibliche vanno elaborate nel modo di abitare il mondo dei media.

Nell’introduzione ai lavori, Leonardo De Chirico ha letto 2 Corinzi 4,13: “Ho creduto perciò ho parlato”. Evidentemente Paolo mette in collegamento il credo e la comunicazione, così la nostra responsabilità nei confronti dei media interpella la nostra fede. Da un punto di vista cristiano, quando parliamo di comunicazione, non ci troviamo solo nell’ambito delle tecniche di comunicazione o delle professionalità dedicate, ma siamo pur sempre dentro l’orizzonte del nostro credo. Tutta la comunicazione ha un credo alle spalle. La responsabilità evangelica è di coniugare un credo sano ad una comunicazione adeguata. L’impegno cristiano è abitare i media per essere di benedizione per gli altri, evitando ciò che Dio odia e cercando di fare le cose che Dio ama. Le Giornate teologiche si sono concluse con questa sfida. 

(continua)


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