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Fede evangelica e arti. Perchè la relazione è travagliata?

Il rapporto della fede evangelica con le arti è da sempre stato oggetto di  una certa tensione. Le millenarie diatribe sulla iconoclastia (la condanna delle immagini nel culto) e sulla iconodulia (la venerazione delle immagini nel culto) non sono mai state veramente metabolizzate.

Per questa ragione, un volume come quello di William A. Dyrness, Poetic Theology. God and the Poetics of Everyday Life, Grand Rapids, Eerdmans 2011 è salutare in quanto mette a fuoco nodi scoperti che vanno affrontati. L’Autore, professore di teologia al Fuller, ha da qualche anno iniziato a pubblicare sulla relazione tra fede e arte. Egli parte dal racconto di tre storie di vita di persone “normali”, anche se diverse tra loro, che, pur vivendo da “atei funzionali”, sono intrisi di ritualità, richiami estetici, pratiche artistiche pervasive che condizionano fortemente la loro vita. Per loro, un discorso proposizionale sul cristianesimo sarebbe visto come estraneo alla loro sensibilità, mentre la condivisione di un’esperienza artistica (qualunque cosa questa espressione voglia dire) colpirebbe la loro immaginazione. Per dirla con Dyrness, “l’estetica ha rimpiazzato l’epistemologia nelle preoccupazioni principali delle persone occidentali acculturate” (9). L’arte fa le veci della religione professata. L’emozione tende a sostituire l’argomentazione logica. La percezione estetica ha rimpiazzato la razionalità proposizionale. 

Se così è, prosegue l’Autore, la teologia si trova impreparata a dialogare con questa generazione. Nel corso degli ultimi secoli, la teologia ha investito su un’epistemologia “logocentrica” più che evocativa. Per questo abbiamo bisogno di ri-scoprire una teologia “poetica”, che parli a tutto l’essere umano e nelle molteplici possibilità della comunicazione umana. Una teologia più attenta alla “poiesis” oltreché alla “praxis”.

Per fare ciò, Dyrness si cimenta in una rilettura della tradizione del romanticismo e delle sue propaggini nella teologia (da Schleiermacher a Tillich). In questa carrellata, sono inseriti anche A. Kuyper e J. Maritain. Tutto questo filone ha espresso una notevole sensibilità nei confronti dell’estetica. Il viaggio prosegue nell’analisi di modelli ancor più classici, come ad esempio l’universo estetico cristiano da Dante a John Bunyan. 

Calvino ri-direziona la sensibilità artistica, spurgandola dalle incrostazioni sensuali e idolatriche e orientandola all’ascolto della Parola di Dio. La chiesa, più che un posto, diventa un evento scollegato da un qualsiasi e preordinato luogo. Calvino fa chiudere i luoghi di culto fuori dagli orari delle assemblee proprio perché il culto deve permeare tutta la vita e lo spazio dell’adorazione è il mondo. Vuole anche evitare che i luoghi di culto siano impiegati per pratiche superstiziose che erano consolidate nel culto cattolico, come la venerazione di statue ed immagini. Secondo Dyrness, Calvino ebbe ragione nelle cose che affermò riguardo il rischio idolatrico, ma sbagliò in ciò che negò riguardo lo spazio simbolico e reale del culto (223) facendo diventare la chiesa uno “spazio simbolicamente vacante” (241). Mentre la Riforma del XVI secolo ha comunque ispirato un grande rinnovamento nelle arti, l’età contemporanea dell’evangelismo, segnata dal sospetto nei confronti della cultura e orientata quasi esclusivamente all’aldilà, ha progressivamente abbandonato il terreno dell’arte.  

La questione estetica rimane un tema fervido per la riflessione evangelica. Negli anni Settanta, Hans Rookmaaker e Francis Schaeffer, tra gli altri, hanno richiamato il mondo evangelico ad avere un’attenzione per le arti. Oggi si assiste ad un recupero “missionale” dell’arte (come ad esempio nell’Impegno di Città del Capo n. 2a5), ma la nuova enfasi posta sull’arte dovrebbe fare i conti con le complesse questioni teologiche e storiche che la fede evangelica porta in eredità rispetto alla relazione con l’arte. Il problema è anche teologico. Se una teologia non smuove la cultura tutta intera, c'è un interrogativo da porsi. Evidentemente, la nostra visione di Dio non è biblicamente ariosa, tende ad essere riduttiva e quindi non può nutrire uno slancio estetico ed artistico, poetico e musicologico.


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