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Hans Küng (1928-2021), forse poco “romano” ma molto “cattolico”

Con Hans Küng (1928-2021) se ne è andato un pezzo di teologia contemporanea. Perito al Concilio Vaticano II, sin da giovanissimo professore a Tubinga, brillante (e verbosissimo) teologo con decine di poderosi libri su quasi tutto lo scibile nel campo religioso, sospeso dal Vaticano come “teologo cattolico” per un libro critico sull’infallibilità papale, diventato una sorta di guru della teologia universalista e pan-religiosa, Küng ha in qualche modo rappresentato la dinamica della teologia cattolica del secondo Novecento. Si può dire che, nel pendolo tra cattolicità e romanità che sono l’ellissi del cattolicesimo romano, Küng abbia spinto molto sulla cattolicità e abbia messo in sofferenza la romanità, ma senza mai rompere la sintesi romana e cattolica che tiene insieme il cattolicesimo romano.

Ancor prima del Vaticano II, l’afflato di cattolicità lo aveva spinto a sostenere nella sua tesi di dottorato la compatibilità tra la dottrina della giustificazione del Concilio di Trento e quella di Karl Barth (in italiano: La giustificazione, Brescia, Queriniana 1969). Quasi 40 anni prima della “Dichiarazione congiunta tra cattolici e luterani sulla giustificazione” del 1999, Küng aveva anticipato sostanzialmente quello che la Chiesa cattolica avrebbe fatto suo in modo ufficiale.

Vero è che Küng ha negli Anni Sessanta pubblicato alcuni libri critici sull’ecclesiologia tradizionale di Roma sino al suo volume sulla infallibilità (in italiano: L'infallibilità, Milano, Mondadori 1977) in cui metteva in discussione non l’infallibilità in sé del papa romano, ma la formulazione del dogma dell’infallibilità del 1870, per lui troppo statica e astorica. Per queste sue posizioni critiche gli fu tolto il riconoscimento di teologo cattolico, facendo di lui un simbolo della chiesa cattolica dissidente, insieme ai teologi della liberazione che in America Latina venivano fatti oggetto di simili provvedimenti disciplinare da parte del Vaticano per le loro posizioni vicine al marxismo. Küng non ha perso occasione di criticare la mancata assimilazione del Vaticano II da parte della chiesa cattolica, sottolineando i rigorismi morali della gerarchia, la struttura di potere che tutto sovrastava, l’imposizione del celibato, ecc. A distanza di alcuni decenni, tuttavia, sia Küng che i teologi della liberazione sono stati in sostanza riassimilati dall’avvolgente e crescente cattolicità di Roma. Non è detto che il Vaticano abbia accolto in toto le loro tesi, ma le ha ricomprese come legittime espressioni di ricerca della verità e compatibili con un’accezione generosa del magistero ecclesiastico.

La cattolicità di Küng ha trovato il suo apogeo nella sua apertura alle religioni verso la ricerca di una “etica mondiale” che faceva da preludio ad un reciproco riconoscimento di tutte le religioni come legittime forme di rivelazione divina e vie per la salvezza. Nel suo libro Perché un’etica mondiale? Religioni ed etica in tempi di globalizzazione, Brescia, Queriniana 2004, Küng riproponeva il suo “progetto per un’etica mondiale” secondo il quale “non c’è pace tra le nazioni senza una pace tra le religioni; non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni; non c’è dialogo tra le religioni senza un modello etico globale; non c’è sopravvivenza nel nostro pianeta nella pace e nella giustizia senza un nuovo paradigma di relazioni internazionali sui modelli etici globali” (p. 7).

Sembra di leggere una forma embrionale e ancora arretrata quello che papa Francesco scrive nell’enciclica “Fratelli tutti” (2020) dove, addirittura, il papa romano supera Küng nel proclamare la fraternità universale tra tutte le religioni e nell’affermare che senza fratellanza spirituale non c’è pace. Quelle che allora sembravano essere posizioni all’avanguardia da parte di Küng, sono ora capitale circolante del magistero che le ha addirittura estese e sviluppate in senso ancor più universalista. Se messe a confronto con quello che dice papa Francesco, oggi le tesi di Küng appaiono timide e parziali aperture. Il Vaticano le ha abbondantemente superate “a sinistra”.  

Dunque, il teologo svizzero è stato antesignano di posizioni considerate a suo tempo “estreme” o anche “dirompenti” che poi sono diventate “mainstream”. Lui è stato tra i teologi che ha tirato il filo della cattolicità mettendo sotto stress quello della romanità, ma senza spezzarlo, anzi contribuendo a riequilibrare il punto di tensione tra i due.


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