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I "lavori del cavolo" e il loro possibile riscatto

Fëdor Dostoevskij nel suo libro Memorie dalla casa dei morti ammoniva che: “Se un uomo è costretto a fare una buca a terra, per poi ricoprirla di terra, all’infinito, sono convinto che in pochi giorni si impiccherebbe o commetterebbe delitti capitali, perchè preferirebbe morire piuttosto che sopportare una tale umiliazione, vergogna e tortura”.


Negli ultimi anni, la mancanza di senso del lavoro è emersa come una delle cause del malessere anche in Italia. Lo vediamo in diversi settori del terziario, dove i bassi salari e la scarsa qualità dei lavoretti creano giovani che “non ci credono più”, “scoraggiati da esperienze negative che li hanno fatti precipitare in una spirale di depressione progressiva, non solo economica, ma anche emotiva e relazionale”, e che li porta lentamente all’inattività.

Questo è ciò che afferma la ricerca dell'Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo (2021). Ma quale dovrebbe essere il ruolo del lavoro nelle società avanzate? Questo tema è stato affrontato da Studs Terkel nel suo Working, uscito nel 1974 negli USA, diventato subito un bestseller ed ora, con lo stesso titolo, pubblicato dalla Marietti 1820.

In una sola frase, in questo libro le persone parlano di ciò che fanno tutto il giorno e di quel che pensano di ciò che fanno. Studs Terkel ha intervistato più di cento persone. Viene fuori un quadro che non lascia indifferenti. Fra i tanti c’è Tom Patrick che si è dimesso da un lavoro in banca per fare il pompiere a Brooklyn: “Sai, è solo carta. Non è reale. Dalle nove alle cinque è una merda. Si guardano i numeri. Il mondo è così fottuto. Ma i pompieri, li vedi davvero produrre. Li vedi spegnere un incendio. Li vedi fare la respirazione bocca a bocca quando un uomo sta morendo. È una cosa vera. Per me, questo è ciò che voglio essere”.

Per Tom Patrick, lavorare in banca non aveva senso. Perché un lavoro abbia senso, deve avere delle ricadute positive sulla società. Il tratto comune di tutte le testimonianze è che cercano un significato nel proprio lavoro che non si limita alla busta paga. Ad animare i protagonisti è il loro desiderio di fare la differenza nel mondo e di lasciare un segno nella storia.

“Credo che la maggior parte di noi stia cercando una vocazione, non un lavoro”, spiega Nora Watson. “La maggior parte di noi, come l'operaio della catena di montaggio, ha un lavoro troppo piccolo per il proprio spirito. Il lavoro non è abbastanza grande per lo spirito delle persone”. "Sono un mulo", dice un operaio siderurgico.

"Una scimmia può fare quello che faccio io", dice la receptionist e il lavoratore emigrato: "Valgo meno di un attrezzo agricolo". "Sono un oggetto", dice la top model. Inoltre, Terkel parla anche di violenze. Parla di ulcere e di incidenti, di urla e di risse, di esaurimenti nervosi e, soprattutto, di umiliazioni quotidiane.


In Italia, dopo tante lotte sindacali, scioperi e tante riforme del lavoro, non è il tempo di una vera riforma che tenga conto anche delle aspirazioni di chi lavora? A suo tempo Terkel ha dato voce ad un bisogno di significato che va oltre al pane quotidiano, di riconoscimento oltre che di denaro, di stupore invece che di torpore.

Quelle voci di cinquant’anni non sono diverse da quelle che sentiamo oggi anche in Italia. Oltre alle morti sul lavoro quasi quotidiane, esiste un'altra "morte" fatte di cicatrici, psichiche e fisiche, che restano anche quando si torna a casa, e che sono una vera minaccia per la propria anima e di quella della nostra società.


Terkel cita anche alcuni casi felici che vivono con soddisfazione il loro lavoro. Questi casi non fanno altro che ribadire che la persona viene prima del suo compito, che dare senso al proprio lavoro ha effetti diversi e più profondi che vanno ben oltre il proprio salario.


È vero, il racconto della prima coppia dell'Eden ci ricorda che, a causa del peccato, l'uomo "mangerà il pane con il sudore del suo volto" (Genesi 3,19). Questa maledizione ha provocato anche un "sudore" più profondo.

È citato il caso di un cliente che ha detto: “Non sei costretta a sorridere, la mancia te la do lo stesso”. Lei ha risposto: “Tienila pure. Non stavo sorridendo per la mancia. Le mance dovrebbero essere abolite. È come dare un osso a un cane. Ti fa sentire piccolo". Un "sudore" che viene dal modo in cui si viene trattati, da un lavoro approssimativo o dalla mortificazione delle proprie competenze.


Le aspettative dei giovani riportate nella ricerca dell'Istituto Toniolo (2021) ed espresse in modo "esistenziale" nel libro di Terkel, ci dicono che, in fondo, che lo si ammetta o meno, l'uomo è alla ricerca di un'etica del lavoro che sia in grado di rispondere a bisogni più profondi; quelli voluti da Dio il "creatore" del lavoro.

Il lavoro non è semplicemente una "protesi" economica; né un "male necessario" che va dal lunedì al venerdì in attesa del fine settimana.

Per ridurre questo scollamento fra il lavoro e la persona, fra la mansione e la vocazione, "la buona notizia cristiana è che il lavoro può essere rivissuto.. recuperando la dignità, ricostruendo la socialità, rilanciandone le finalità nella presa in carico delle sue complessità".

Richard Steel, nel suo The Tradeaman's Calling del 1684, cercò di tradurre in pratica questi principi biblici. Affermò che i lavori legittimi "devono essere appropriati alla persona, alle sue abilità della mente e a quelle del fisico". Devono dunque promuovere "la vera felicità temporale, spirituale o eterna del genere umano". Ci vuole una riforma culturale per arrivare a ciò. In altre parole, ci vuole una riforma secondo l’evangelo. 


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