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I vizi capitali secondo Billy Graham

La consapevolezza che la fede sia esposta a tossicità varie è una costante nella storia della chiesa, anche se non sempre percepita con la stessa intensità e lucidità, e men che meno seguita dalla stessa terapia. Dalle invettive dei profeti alle riflessioni dei saggi d’Israele, dalle lettere apostoliche agli scritti post-apostolici, la chiesa ha sempre avuto una sensibilità diagnostica sulla salute della fede e ha espresso una preoccupazione sulle minacce alla sua omeostasi. 

Nella mia gioventù, mi colpì non poco un titolo del grande evangelista Billy Graham (1918-2018)[1] che risultava un po’ diverso dai suoi più famosi Pace con Dio, Mondo in fiamme e L’ora della decisione, e meno veduto o distribuito rispetto a quei best-sellers. Si trattava del volumetto Liberati dai sette peccati capitali.[2] Nel titolo si faceva riferimento ad una parola forte come peccati associati ad un aggettivo estremo: “capitali”. Nell’indice comparivano parole insolite per il vocabolario evangelico popolare come “lussuria”, “gola” e “accidia”. Crescendo e riprendendolo in mano in una stagione diversa della vita, quel volumetto inizialmente percepito come strano, mi ha sorpreso favorevolmente facendomi riflettere.

In genere si pensa a Billy Graham come all’evangelista popolare/populista del Secondo dopoguerra e dal messaggio “semplice”, scevro da grandi impalcature teologiche, avulso da una coscienza storica della dottrina evangelica ed eccessivamente diretto nell’applicazione esistenziale e personale dell’evangelo, qui ed ora. In quel libretto (di sole 71 pagine nell’edizione italiana), Graham in realtà partiva niente meno che da una citazione di un Padre della chiesa, Gregorio Magno (540-604) nella sua opera Moralia in Iob, e si collegava ad una grande tradizione della teologia morale: quella dei sette vizi (superbia, ira, invidia, lussuria, gola, accidia, avarizia) da cui guardarsi e da combattere nella vita cristiana. Dunque, un Billy Graham che non ti aspetti e che vale la pena di seguire in questa sua riflessione.

I vizi capitali sono stati, dall’alto Medioevo in poi, una sorta di mappatura analitica del peccato e una bussola orientativa della teologia morale, soprattutto di ambito cattolico romano.[3] Oltre all’ampia trattazione che ne fa Tommaso d’Aquino,[4] è noto a tutti che Dante immaginò l’Inferno in cerchi dedicati ciascuno ad un differente vizio capitale nei quali vengono puniti secondo la regola del contrappasso coloro che in vita vi si dedicarono, peccando. Giotto dipinse i vizi nella Cappella degli Scrovegni di Padova. Anche la cultura laica e contemporanea, pur avendo preso congedo dalla teologia del “peccato” di reminescenza cristiana, continua ad essere affascinata dal tema tradizionale dei vizi considerandoli un codice imprescindibile della cultura occidentale.[5]  

Nel suo volumetto, Graham colloca il suo discorso evangelico dentro un solco molto tradizionale, dandogli peraltro un taglio biblico e kerygmatico, più che riduttivamente morale. Parte dalla “superbia” definendola “una condizione mentale e morale che precede qualsiasi altro peccato” e che consiste “in una smoderata stima di sé stessi e nel piacere che si prova nel pensiero della superiorità sui propri simili” (p. 7). L’esaltazione di sé al di fuori dei confini di quanto Dio ha dato di essere porta ad avere un atteggiamento sprezzante degli altri ed è un cancro del cuore. La superbia può assumere una veste “intellettuale” quando si confida nella propria intelligenza, una forma legata al possesso delle “cose materiali” quando si ripone in esse la propria sicurezza, un risvolto “sociale” quando è la classe o la casta di appartenenza a formare il gradino di superiorità avvertita. Graham ricorda che  “Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili” (Giacomo 4,7).

Dopo la superbia, l’ira. Secondo Graham, l’ira “rivela la natura animale dell’uomo” (p. 16) e l’avvicina alla modalità di azione-reazione delle “bestie selvagge”. E’ un ingiustificato sussulto di rabbia che si traduce in linguaggio e/o in comportamenti abusivi. L’ira è un meccanismo andato fuori controllo di risposta a ciò che non va. L’ira viziosa non deve essere confusa con la “santa indignazione che è legittima e giustificata” (p. 21) quando si manifesta contro il peccato dentro e intorno a noi e con “la collera divina” che è un aspetto del carattere santo e giusto di Dio stesso.

L’invidia è il terzo vizio capitale. Graham la definisce “l’assassina dell’anima” (p. 23) in quanto fa avvertire che la fortuna degli altri è la nostra sfortuna, il successo altrui è il nostro insuccesso, le benedizioni di terzi sono la nostra maledizione. Come Haman, per invidia, preparò la forca per Mardocheo salvo poi rimanervi impiccato lui stesso, così l’invidia coltiva risentimento e apparecchia trappole per fare sprofondare nel primo e cadere nelle seconde chi le costruisce. Oltre a non aggiungere niente di buono, l’invidia toglie le gioie della vita e isola dagli altri. Graham la paragona ad una “lebbra” sociale.

A cerniera tra i primi tre e gli ultimi tre vizi sta la lussuria (adulterio, fornicazione, impurità, oscenità, volgarità), il traviamento dell’amore in una pulsione bestiale. Essa impedisce lo sviluppo della personalità oltre a rovinare le famiglie e ad ammorbare la società. Secondo Graham, l’immoralità è “una delle armi più affilate di Satana per la distruzione delle anime” (p. 35). Nel pieno degli anni della “rivoluzione sessuale”, per lui “il sesso è il maggior peccato dell’America di oggi”.  

Il quinto vizio è la gola o, come lo definisce Graham, la “ghiottoneria” (p. 43). Si tratta di una idolatria dell’abbondanza e della prosperità che fa abbandonare la vita agli appetiti della carne e ai disordini dei bagordi. Anche la golosità è una “perversione di un appetito naturale, dono di Dio” (p. 46) che viene associato agli eccessi sia delle società antiche sia di quelle opulenti del mondo contemporaneo.

L’accidia – il sesto vizio – è un peccato di cui si ha una percezione rarefatta ma che è nefasto quando gli altri. Essa è associata all’incuria, all’indolenza, alla pigrizia e all’apatia; genera un tipo negativo di vita che annulla le occasioni favorevoli e disperde le opportunità. Il peccato di omissione è altrettanto pericoloso del peccato di azione (p. 55). Pigrizia nello svolgimento degli impegni presi, indolenza nelle discipline spirituali.

Infine, l’ultimo vizio capitale: l’avarizia. 1 Timoteo 6,10 definisce l’amore del denaro “la radice di ogni sorta di male”. Illude di poter fare diventare ricchi chi la pratica , ma in realtà produce povertà agli occhi di Dio e miseria nelle relazioni umane. Per tutti i vizi, Graham annuncia il passaggio obbligato per la fuoriuscita dal loro tunnel: il pentimento dal peccato sulla base dell’ascolto della Parola di Dio e l’affidamento alla grazia di Dio che, sulla base dell’opera compiuta di Cristo e vivente dello Spirito Santo, paga il prezzo del peccato e trasforma la vita rinnovandola. Come si è detto, la finalità di Billy Graham è evangelistica più che rispondente ad un’esigenza di redigere un trattato di teologia morale. La sua anamnesi del cuore umano è realistica ed è legata all’afflato medicinale di provvedere la via della guarigione nell’evangelo di Gesù Cristo.  

Rimane da chiedersi se la griglia dei sette vizi capitali possa essere uno strumento adeguato per fare i conti non solo con le patologie dell’umanità non rigenerata, ma anche con le malattie della fede. Quanto la vita delle chiese evangeliche è caratterizzata dalla superbia dell’autosufficienza, dall’ira nella gestione delle relazioni, dall’invidia verso chi è più performante, dalla lussuria occultata ma praticata, dalla gola per i beni materiali, dall’indolenza nei confronti delle sfide a cambiare, dall’avarizia nell’investire nelle attività del Regno? Potrebbe essere la lista dei vizi una griglia per fare i conti con i nodi irrisolti della testimonianza evangelica?

[1] Nei suoi sessant’anni di servizio, si stima che Billy Graham abbia predicato l’evangelo dal vivo a più di 210 milioni di persone in 185 Paesi. Oltre ad essere un grande evangelista, Graham è stato al centro di eventi di rilevanza globale per l’evangelicalismo, come i congressi missionari di Berlino (1966), Losanna (1974), Manila (1989), Amsterdam (2000), i cui documenti possono essere trovati in Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 1997 e Dichiarazioni evangeliche II. Il movimento evangelicale 1997-2017, a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 2018. Sulla vita di Graham, cfr. Così come sono. L’autobiografia di Billy Graham, Marchirolo (VA), EUN 2000, mentre per una lettura critica sul “fondamentalismo” di Graham si veda Michael G. Long (ed.), The Legacy of Billy Graham. Critical Reflections on America’s Greatest Evangelist, Louisville, Westminster John Knox Press 2008.

[2] Billy Graham, Liberati dai sette peccati capitali, Napoli, Centro Biblico 1964. Il libretto fu originariamente pubblicato nel 1955.

[3] Cfr., ad esempio, Renzo Gerardi, Le malattie dell’anima. Trattato sui vizi capitali, Bologna, EDB 2003.

[4] Tommaso d’Aquino, I vizi capitali (dalle Questioni disputate sul male), a cura di U. Galeazzi, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli 1996.

[5] Si veda, ad esempio, Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Milano, Feltrinelli 2003.


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