Il cattolicesimo romano si è convertito all’ecumenismo?
Uno degli effetti più visibili del Concilio Vaticano II (1962-1965) è stato sicuramente il cambiamento avvenuto nell’atteggiamento ecumenico di Roma: in una battuta, Roma è passata dall’appello rivolto agli scismatici di tornare “all’ovile” romano all’ecumenismo del “poliedro” vissuto con i “fratelli ritrovati”. Una torsione epocale: cosa è successo? Il volumetto di Bernard Sesboüé, La chiesa e le chiese. La conversione cattolica all’ecumenismo, Bologna, EDB 2015, è scritto da uno dei più intelligenti e profondi teologi cattolici contemporanei (anche lui professore emerito al Centro Sèvres) ed aiuta a porsi la domanda fornendo alcuni spunti per dare una risposta.
Il sottotitolo parla di “conversione” del cattolicesimo all’ecumenismo. Nella semantica cattolica del termine, conversione non significa presa di distanza consapevole dal peccato cui segue un cambiamento strutturale, ma ricomprensione del proprio percorso dentro maglie più elastiche che danno nuovo slancio senza perdere alcunché del passato.
L’A. è abile e profondo nel mostrare il cammino della “conversione” cattolica all’ecumenismo soprattutto testimoniata nei testi del Vaticano II: nelle categorie fluide della Dei Verbum che aprono la strada a interpretazioni meno affettate del rapporto tra Scrittura e tradizione, nelle categorie dinamiche di Lumen Gentium che consentono di addolcire l’istituzionalismo romano e integrano la mariologia nell’ecclesiologia (di fatto allentando il legame problematico con la cristologia), nelle categorie rispettose della libertà religiosa di Dignitatis Humanae che aggiornano il magistero cattolico ai requisiti minimi della pluralismo religioso. Un intero capitolo è dedicato all’analisi del decreto del Vaticano II, Unitatis Redintegratio, che tematizza la visione ecumenica del Concilio. L’ultimo capitolo è un bilancio teologico a cinquant’anni dal Vaticano II con un’intelligente rassegna della recezione della conversione cattolica all’ecumenismo.
Si tratta di conversione? Da un punto di vista interno al cattolicesimo, sicuramente sì. L’ecumenismo cattolico è stato “aggiornato” negli atteggiamenti, nella postura e nel linguaggio. Usando un altro termine molto importante per la vitalità della cattolicità romana, si può dire che esso abbia conosciuto uno “sviluppo” importante. La domanda che rimane è: la teologia del “ritorno all’ovile” è stata formalmente abolita? La teologia del centralismo romano è stata sconfessata? L’istituzione imperiale del papato è stata smantellata? Il sacramentalismo è stato modificato? I dogmi mariani sono stati cambiati? Trento è stato superato? Le devozioni pagane sono state abolite? La risposta è no. E allora, da questo punto di vista, non si è trattato di conversione, ma di “aggiornamento” dell’autocomprensione della Chiesa nei suoi rapporti con l’altro da sé. La svolta ecumenica del cattolicesimo è sicuramente uno dei fenomeni più significativi dove la nuova cattolicità emersa dal Vaticano II si è espressa con più vigore e profondità, ma sempre dentro la “logica” di far rientrare il tutto dentro l’abbraccio della Chiesa romana.