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Il gioiello più raro (IV). La cattiva teologia del brontolone

Abbiamo idea di quanto spesso ci lamentiamo? Quante volte, ad esempio, ci lamentiamo in un giorno? In un mese? In un anno? Se dovessimo chiedere alle persone più vicine a noi quanto spesso ci lamentiamo - e se dovessero rispondere onestamente - come risponderebbero? Direbbero che siamo caratterizzati dalla vera e profonda contentezza cristiana? Oppure direbbero che siamo invece più caratterizzati dalla scontentezza, dall’amarezza e dalle lamentele? 

Il puritano Jeremiah Burroughs disse che “c’è più cattiveria nelle lamentele abituali di quanto siamo consapevoli.”[1] Voleva che i suoi lettori odiassero la cattiva abitudine di lamentarsi contro Dio, soprattutto quando si trovavano in mezzo alle prove. Voleva che vedessero quanto vili, quanto spregevoli, quanto corrotte e quanto dannose fossero le lamentele. D’altronde, voleva ancora di più che capissero quanto bello e trasformativo fosse il raro gioiello della contentezza cristiana. È una forza che ci spinge verso il Signore e che ci rende sempre più completi come discepoli di Cristo. Chiaramente le lamentele ed i brontolii hanno l’effetto opposto. Nel suo libro Andrew Davis offre alcune osservazioni convincenti che evidenziano le cattiverie ed i pericoli dei mormorii abituali.

  1. Le lamentele sono l’opposto delle lodi: Nella sua prima lettera, Pietro dice: “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pietro 2,9). Dio ci ha salvato per mezzo di suo Figlio affinché le nostre bocche potessero essere sempre piene di lode. Troppo spesso, però, sono piene di lamentele. “Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non deve essere così” (Giacomo 3,10).

  2. I brontolii rivelano una corruzione dell’anima: Burroughs scrisse: “Mentre la contentezza rivela la stupenda grazia del Signore all’opera nell’anima, le lamentele rivelano una vile corruzione del cuore” (p. 137). 

  3. Lamentarsi è sinonimo di ribellione: uno spirito veramente contento si sottomette volentieri al Signore. D’altronde, uno spirito scontento che si lamenta sempre non si sottomette alla volontà di Dio. Questa è la ribellione. Basta guardare all’esempio degli Israeliti nell’Antico Testamento per capire molto bene cosa viene inteso. Lamentarsi significa ribellarsi.

  4. I brontolii sono in guerra con le opere dello Spirito Santo: quando ci lamentiamo dimentichiamo la gravità della nostra peccaminosità e non ci accorgiamo più della nostra disperazione lontano da Cristo. Inoltre, le lamentele annacquano la gloriosa maestà di Gesù Cristo. Non basta la sua gloria? Perché, allora, ci lamentiamo così tanto? In più, i brontolii minacciano, diminuiscono e minano il nostro patto col Signore. Quando ci lamentiamo, è come se ci pentissimo di essere entrati in un’alleanza con il Dio della Bibbia.

  5. Le lamentele non sono degne dei figli del Re: “Come mai tu, figlio del re, sei ogni giorno più deperito?” (2 Samuele 13,9). Questa è la domanda fatta ad Amnon, figlio del re Davide, dai suoi amici. Il figlio di un re non deve essere sempre deperito. Non è degno del figlio del re Davide, che aveva tutto a portata di mano. Ancora di più, i figli del Re dei re non devono lamentarsi. Non è per niente consono per tali figli. Possano veramente gli eredi della vita eterna lamentarsi delle prove momentanee?

  6. Le nostre lamentele oscurano le tante benedizioni ricevute dal Signore: quando ci lagniamo e quando mormoriamo delle cose che mancano nelle nostre vite (i soldi, la salute, le relazioni, l’amore, il lavoro giusto), le tantissime ricchezze che riceviamo come eredi di Dio vengono dimenticate e trascurate.

  7. I brontoloni fungono da esempio pessimo: “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato” (Filippesi 2,14-16). Dio ha messo il suo popolo in mostra. “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,14). C’è qualcuno che osserva sempre il popolo di Dio. La chiesa, allora, deve essere un modello per il mondo perduto. Ma quando ci lamentiamo, fungiamo da esempio pessimo e, invece di attrarre, respingiamo. Pietro ci istruisce di essere “sempre pronti a rendere conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni” (1 Pietro 3,15). Ma se ci lamentiamo sempre e se non siamo mai contenti, perché la gente vorrà chiederci spiegazioni della speranza in noi? Quale speranza?

È evidente nelle nostre vite la speranza che abbiamo in Cristo soltanto? O viene invece oscurata dalle nostre lamentele, mormorii e brontolii continui? Le persone intorno a noi sono attratte dalla contentezza, dalla gioia e dalla pace che caratterizzano le nostre vite, o sono invece respinte dai fastidiosi brontolii che le bombardano senza tregua? Il discepolo di Cristo deve prendere sul serio queste domande. Come rispondi tu ad esse? La contentezza dà speranza e gioia. Le lamentele le rubano. “Siete la luce del mondo”. Che la chiesa possa realizzare queste parole, mettendo in mostra il raro gioiello della contentezza cristiana.

(continua: nella quinta e ultima parte concluderemo questa serie rispondendo alla domanda: come possiamo realizzare e proteggere la contentezza cristiana nelle nostre vite quotidiane?)

[1] Jeremiah Burroughs, The Rare Jewel of Christian Contentment, p. 137.


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