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Il Quadrilatero di Bebbington. Una definizione adeguata dell’evangelicalismo?

Chi è un evangelico? Nel 1990 il libro dello storico scozzese David Bebbington, Evangelicalism in Modern Britain, aveva sostenuto un paio di tesi che sono poi diventate oggetto di un ampio dibattito internazionale. La prima è che i tratti teologicamente essenziali dell’evangelicalismo sono:

  1. il biblicismo (una concentrazione sull’autorità della Scrittura), 

  2. il crucicentrismo (una concentrazione sulla croce di Cristo nel senso del sacrificio espiativo di Gesù), 

  3. il conversionismo (una concentrazione sull’appello alla conversione, unica e vera porta d’ingresso alla fede), 

  4. l’attivismo (una concentrazione sull’impegno missionario che scaturisce dalla fede). 

Dopo Bebbington, tutte le opere sull’evangelicalismo hanno dovuto fare i conti con questo quadrilatero (D. Tidball, A. McGrath, M. Noll, ecc.) chi sposandolo in toto, chi avanzando la necessità di smussare qualche angolo o precisare quale termine. In ogni caso, l’ipotesi di Bebbington, non ultimo perché in grado di integrare in uno schema semplice una molteplicità di elementi diversi, è diventata una sorta di carta d’identità dell’evangelicalismo. 

La seconda tesi dello storico britannico è che l’evangelicalismo è essenzialmente un fenomeno storico che assume connotazioni precise nel mondo anglosassone a partire dal 1730, cioè dalla stagione degli “Evangelical Awakenings” su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico. Più in generale, Bebbington sostiene la derivazione dell’evangelicalismo dall’Illuminismo settecentesco con la sua accentazione sulla certezza epistemica, l’universalità della ragione e della religione, l’intraprendenza umana. Su questa tesi, invece, il dibattito è molto acceso e l’ipotesi di Bebbington è tutt’altro che recepita ed assimilata. A distanza di vent’anni , un gruppo di storici e teologi evangelicali ha ritenuto di dover rileggere criticamente Evangelicalism and Modern Britain, cogliendo l’opportunità di fare il punto sulla discussione aperta da quel libro fondamentale. 

Il libro in questione è a cura di M. Haykin e K. Stewart, The Emergence of Evangelicalism. Exploring historical continuities (2008). Diciassette saggi di altrettanti autori rivisitano l’opera di Bebbington a partire da vari punti di vista e sottoponendola ad ulteriori approfondimenti volti a valutarne la sostenibilità. Il libro è concluso da uno scritto dello stesso Bebbington che risponde alle critiche con fair play britannico, ma rivendicando la sensatezza delle sue ricerche. 

Tra gli spunti critici principali, è da segnalare il seguente: l’evangelicalismo è una corrente non tanto della chiesa impregnata da valori illuministici, quanto della chiesa di ogni tempo con variabili storiche particolari. Lo storico Mark Noll sostiene che l’evangelicalismo sia la combinazione dell’agostinismo protestante centrato sulla grazia e una religiosità del cuore aggressiva. La sua identità teologica è legata all’eredità classica della tradizione agostiniana e, più indietro ancora, paolina e giovannica, insomma neo-testamentaria. Una sezione del volume esplora il carattere “evangelico” dell’opera di Lutero (C. MacKenzie), Calvino (P. Helm) e di Cranmer (A. Null), mostrando come la linea genealogica dell’evangelicalismo trovi nella Riforma protestante magisteriale il suo tratto principale. Altri saggi esplorano il carattere evangelicale anche del puritanesimo mainstream (J. Coffey, C. Gribben), oltre ai fenomeni del réveil ginevrino dell’Ottocento in cui si verifica un connubio tra influenze anglosassoni ed eredità del calvinismo ortodosso locale (I. Shaw). Il quadro che emerge è più sfumato della tesi di Bebbington che tende a ridimensionare (senza negarla peraltro) la traiettoria storica dell’evangelicalismo che precede il Settecento. Una sezione sul pietismo tedesco (che manca nel volume) avrebbe ancor più corroborato la critica alla lettura troppo anglo-centrica di Bebbington, così come un approfondimento sull’ortodossia riformata avrebbe ulteriormente messo in evidenza come le tracce dell’evangelicalismo sono chiaramente visibili in tutte le epoche storiche della fede evangelica. Garry Williams sottopone a critica la tesi di Bebbington circa la dipendenza dell’evangelicalismo dall’epistemologia illuministica, mostrando come la cornice teologica dell’evangelicalismo, pur adattandosi a correnti storiche diverse, non sia figlia dell’Illuminismo, ma abbia molti padri e molte madri nella storia della chiesa. 

L’evangelicalismo non è una “novità” moderna ed anglosassone.  Pur essendosi profilato e stabilizzato in quei contesti storico-geografici, esso appartiene alla storia della chiesa di ogni tempo. Anche dal punto di vista teologico, si può dire che la teologia evangelicale non abbia innovato o scoperto o inventato alcunché, né abbia ripreso in modo pedissequo il programma ideologico di un’epoca. Ha invece rielaborato, ripreso, ri-enfatizzato temi propri della teologia cristiana classica. In fondo, la seconda tesi di Bebbington circa la dipendenza dell’evangelicalismo dall’Illuminismo tende ad assolutizzare uno snodo storico indubitabile, attribuendogli caratteri primari che invece debbono essere relativizzati. Il libro, pur rispettando e apprezzando il contributo dello storico scozzese, è un utile correttivo a letture dell’evangelicalismo piuttosto riduttive e unilaterali sul piano storico e teologico.


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