Il Somnium continua. Ritiro invernale a Napoli
In questo periodo di fine e inizio anno ritroviamo ancora una volta il proliferare di oroscopi, cartomanzie e simili. Si tenta in qualche modo di prevedere il futuro all’insegna del benessere, della fortuna, degli amori e dei guadagni. Facendo una passeggiata per la bellissima Napoli non sono tanto le cupole e i campanili delle oltre cinquecento chiese che la contraddistinguono, ma è il cornetto rosso portafortuna sulle bancarelle della città l’immagine più ricorrente. Viviamo in una cultura che si aggrappa a piccoli sogni sconclusionati di benessere e prosperità e, per farlo, lo fa attraverso più che discutibili stratagemmi. Un altro rischio è invece quello di smettere completamente di sognare. Le difficoltà della vita, la frenesia del lavoro, rischiano magari di svuotare un immaginario lasciando un certo senso di insoddisfazione.
Ma un cristiano evangelico di che tipo di sogno potrebbe nutrirsi? Somnium – una vacanza studio estiva – ha avuto lo scopo nella sua edizione del luglio scorso di riscoprire e aiutare ad elaborare il sogno cui un giovane credente possa coltivare. Un sogno profondo, ampio, uno spazio di incontro dove giovani credenti possano essere aiutati a coltivare la propria vocazione sociale, affettiva, relazionale, ecclesiale. Un sogno per riscoprire la portata della visione biblica della vita cristiana.
In queste feste di fine anno c’è stata la possibilità di un incontro invernale. Lo scopo è stato quello di non lasciare soli, di accompagnare, di avere un momento per confrontarsi su ciò che si è elaborato in questi mesi. Questa edizione invernale si è tenuta dunque proprio a Napoli, nei giorni dal 27 al 29 dicembre. Ancora una volta è stato possibile passare un tempo di condivisione anche con la chiesa evangelica di Monte di Procida e il privilegio di partecipare all’iniziativa promossa dall’Alleanza Evangelica Italiana, distretto Campania, delle Passeggiate della Riforma a Napoli, a cura di Antonio Racca.
Il tema che ha coinvolto questi giorni è stato quello dell’identità, in particolare attraverso due studi del Prof. Pietro Bolognesi. Nel primo si è parlato della donna del Cantico dei Cantici, in particolare in Cant. 1,6-8. Questa donna possiede una identità definita. Riconosce la sua bellezza nonostante non sia confacente ai canoni dominanti della sua cultura. Lei è bella seppure abbronzata (in passato la bellezza era data dalla pelle chiara) perché ha lavorato nei campi. Ha fatto i conti con il lavoro e ciò l’ha segnata. La sua identità non è slegata dalla sua vocazione. Inoltre è talmente sé stessa che può prendere le distanze dalla sua famiglia evitando certi fanatismi. È una donna che può fare i conti con la sua storia. Spesso il rischio è quello di fuggire dalla propria storia, oppure semplicemente di subirla. È tuttavia necessario elaborarla alla luce del piano di Dio. A volte pensiamo di voler essere diversi. O altre volte corriamo il rischio di cercare difetti anche laddove non ci sono, o di ingigantirli. Ma è possibile desiderare di essere diversi se siamo stati creati da Dio in modo meraviglioso? Questa donna riesce ad accettare sé stessa, il suo aspetto, la sua storia, e così facendo può accettare l’altro. Accettare la propria identità particolare diventa il protocollo più chiaro per la comunicazione. Lei può amare l’altro con tutto il suo essere, c’è interiorità ed esteriorità.
Questo testo ci mostra inoltre come non ci siano solo lui e lei, ma c’è il confronto con le persone che li circondano. C’è sempre una dimensione, un risvolto sociale. L’identità non priva della socialità o cancella il necessario confronto con essa. In genere il confronto con gli altri sembra essere un fattore di destabilizzazione. Non è così per i due amanti, non lo è quando vi è una identità definita, stabile, una convinzione vera l’uno per l’altra. L’invito dunque è quello di coltivare una prospettiva più ampia e non solitaria.
Bolognesi ha collegato questo testo a Giovanni 10,1-4, al Buon Pastore che fa uscire le pecore dall’ovile, va avanti e loro lo seguono. Questo sogno si costruisce sull’amore, si segue Qualcuno, si segue il Pastore che è davanti. Non si tratta di un progetto fatalistico, ma di un progetto che va al di là dei semplici schemini autoreferenziali o di coppia. Qui si segue il Creatore e il Redentore in un progetto ampio, totalizzante, che fa i conti con la storia, con la società, e mira a realizzare uomini e donne pienamente tali, pienamente soddisfatti della loro vocazione, della loro relazione, del loro essere.
Un secondo studio è stato tratto da Neemia, in particolare i primi 2 capitoli del libro. Si è voluto dunque tratteggiare il tema dell’identità guardando proprio a questa figura. In Neemia si capisce un interesse profondo per il suo popolo e la sua città. La lontananza non ha minato questo amore. Neemia è un uomo unito. Perfino il re, di cui lui era coppiere, si rende conto del suo volto abbattuto. In Neemia non c’è doppiezza, non ci sono compartimenti, la sua integrità è profonda. Ciò che recepisce produce in lui un’emozione ma anche un’azione. In lui c’è il senso della realtà. Agisce con avvedutezza, anticipa i problemi che potrebbero sorgere e raccoglie informazioni utili al suo scopo.
Un secondo elemento caratteristico dell’identità di Neemia è il suo pensare alla comunità. Neemia non vuole semplicemente sopravvivere, non si accontenta del suo importante incarico statale, o della sua comoda vita a Susa. Neppure le informazioni riguardo a Gerusalemme gli cadono dal cielo. All’arrivo dei suoi fratelli da Gerusalemme vediamo lo spessore delle sue domande. Non si interessa solo della sua casetta. La comunità è per lui una priorità. Vivere bene la sua vocazione a Susa è importante, ma Neemia è collegato a qualcosa di più grande. La comunità è parte integrande della sua vita. Si identifica con la sua comunità al punto che, nella preghiera che rivolge a Dio al capitolo 1, prende su di sé la responsabilità dell’esilio del suo popolo. Non recrimina contro i suoi predecessori, ma sente la responsabilità di dov’è il popolo in questo momento. In Neemia troviamo una vera unità della persona, una integrità senza scollamenti, senza compartimentazioni, e un vero senso della comunità di Dio, geograficamente e storicamente, un legame profondo, ampio.
È questo dunque il Somnium di cui vogliamo nutrirci, che vogliamo coltivare. Sono questi gli uomini e le donne che ci stanno davanti, dei modelli per imparare a corrispondere umilmente alla vocazione cui il nostro Dio ci chiama.