Il vangelo secondo Pasolini (secondo José de Segovia)
“El Evangelio según Pasolini” è il titolo di un interessante articolo di José de Segovia, critico cinematografico e teologo evangelico spagnolo, su Protestante Digital (12/4/2022). In occasione del centenario di Pasolini, fioccano le iniziative per studiare ed approfondire l’opera di questo poliedrico (e controverso) scrittore italiano. Ecco ampi stralci dell’analisi di Segovia che si concentra sul film di Pasolini Il vangelo secondo Matteo (1964).
Ogni volta che si fa un nuovo film su Gesù, la domanda che i cristiani tendono a porsi è se sia fedele ai Vangeli. Per cominciare, pochi film usano le parole di Gesù. Quindi è sorprendente che il primo regista a farlo sia stato un omosessuale comunista – Pasolini – assassinato su una spiaggia di Ostia nel 1975, presumibilmente da un prostituto maschio. Nonostante il suo arresto per blasfemia l'anno prima, Pasolini ha voluto utilizzare solo il testo biblico per il suo "Vangelo secondo Matteo" nel 1964.
Ben prima del film Jesus di Campus Crusade del 1979, basato sulle parole letterali del Vangelo di Luca, Pasolini scoprì che nell'Italia cattolica pochissimi avevano letto il Vangelo di Matteo.
Dopo aver fatto un viaggio di ricognizione in Israele e Giordania, tornando con cinque rullini di materiale documentario, Pasolini finalmente decise di girare nell'Italia meridionale dicendo che i luoghi biblici gli sembravano troppo moderni. È questa stessa severità che ha cercato nei suoi attori. “Non volevo che Cristo avesse lineamenti morbidi e uno sguardo gentile”, spiega. “Volevo un Cristo il cui volto esprimesse la forza e la risolutezza che ritroviamo nei volti dei pittori medievali”. Voleva “un volto che riflettesse i luoghi aridi e pietrosi dove insegnava”.
Nei film, Gesù tende ad avere un'immagine gentile, molto pacifica e un po' asessuale. Il suo aspetto blando appare così etereo. “Nessuno si aspetta che Cristo sia così”, diceva Pasolini “perché nessuno sembra aver letto il Vangelo secondo Matteo”.
Tutto ebbe inizio nel 1962 quando Pasolini fu invitato, insieme ad altri registi italiani, a un ciclo di dibattiti sul rapporto tra cristianesimo e marxismo, tenutosi nella città di Assisi e organizzato da un'associazione laica di ispirazione cattolica chiamata Pro Civitate Christiana. Nella sua camera d'albergo trovò un vangelo secondo Matteo, da cui rimase molto colpito. "Niente sembra così estraneo al mondo moderno di quel Cristo, amabile nel suo cuore, ma violento nella sua ragione”. Nella sua eccitazione, decise di girare un film sul Vangelo. Aspirava a tradurre le parole in immagini, senza tralasciare o aggiungere nulla al testo. Voleva mantenere lo stile brusco, ellittico e sincopato dell'evangelista. Era così eccitato nel leggerlo che pensava che nessun altro copione potesse raggiungere le "vette poetiche" dell'originale. È significativo che sia stato un omosessuale marxista ateo a riconoscere la freschezza della lettura diretta del Vangelo.
Nonostante il film sia dedicato a Papa Giovanni XXIII, Pasolini si definiva ateo: “Non credo che Cristo sia Figlio di Dio perché non sono credente”. Tuttavia, pensava a Cristo come “divino” perché “eleva l'umanità a un ideale rigoroso”. Da marxista si considerava razionalista, ma diceva che “l'idea di fare questo film, devo confessarlo, è il risultato di un furioso sentimento irrazionale”. Facendo eco a un sentimento comune nei Paesi cattolici Pasolini disse di sé: “Sono anticlericale, ma so che ci sono in me duemila anni di cristianesimo”.
Nel ritrarre la storia del Vangelo, Pasolini opta per lineamenti rustici, volti induriti dal sole e segnati dalla stanchezza. Maria è interpretata da sua madre. Altri conoscenti, come il fratello e il nipote di Elsa Morante – moglie di Alberto Moravía – interpretano rispettivamente Giuseppe e Giovanni: l'ispanista Mario Socrate interpreta Giovanni Battista; il poeta marxista Alfonso Gatto interpreta Andrea; il filosofo Giorgio Agamben, Filippo; il critico Enzo Siciliano, Simone; e la scrittrice Natalia Ginzburg interpreta Maria di Betania.
La colonna sonora è una curiosa combinazione tra la Passione secondo Matteo di Bach, l'Adagio e Fuga di Mozart e una cantata di Prokofiev, insieme a spiritual afroamericani, una messa congolese, una danza brasiliana e inni rivoluzionari russi. Il testo letterale del Vangelo viene portato sullo schermo in una modesta produzione in bianco e nero, che vinse il Premio Speciale della Giuria alla Mostra del cinema di Venezia nel 1964 (il Leone d'Oro andò a Deserto rosso di Antonioni) e continua ad esercitare un certo fascino oggi.