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Ioannis Zizioulas (1931-2023), il teologo “cappadoce” del XX secolo

Durante gli studi al King’s College di Londra (1996-1997), ricordo che Ioannis Zizioulas, recentemente scomparso, era quasi di casa al seminario dei dottorandi del martedì mattina. Con la sua barba ieratica e la sua voce flebile, era una personalità quasi venerata dai teologi di punta della facoltà, Colin Gunton e Alan Torrance. Veniva riconosciuto come il teologo ortodosso orientale più autorevole con cui confrontarsi. La questione non era semplicemente diplomatica o di buoni rapporti istituzionali con l’Oriente.

Con le sue opere L’uno e i molti. Saggi su Dio, l’uomo, la chiesa, (ed. it. 2018) e Comunione e alterità, (ed. it. 2016), Zizioulas recuperava la lezione della teologia trinitaria dei Padri cappadoci (Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo) e la “aggiornava” al contesto teologico contemporaneo. Comprendendo le “ipostasi” come “relazioni” più che come “sostanze” e valorizzando la tri-unità originaria di Dio piuttosto che anteporre l’unità di Dio alla sua trinità, il teologo greco sembrava aprire per la teologia una via d’uscita dalla onto-teologia scolastica di impianto aristotelico/tomista. Per Gunton e Torrance, Zizioulas apportava un correttivo importante alla tradizione occidentale, latina e agostiniana della teologia trinitaria che, secondo loro, aveva enfatizzato l’unità a scapito della molteplicità e la categoria di “sostanza” a scapito della “relazione”.

Ricordo anche il confronto che con Zizioulas ebbe il teologo evangelico Miroslav Volf, poi sfociato nel libro di quest’ultimo After Our Likeness. The Church as the image of the Trinity (1998)[1]. Volf mostrava molto rispetto per la teologia trinitaria di Zizioulas anche se ne criticava l’impianto gerarchico accentuato e le abnormi ricadute sacramentali. Da un lato, Zizioulas sembrava sposare una teologia trinitaria relazionale, dall’altro nell’ecclesiologia sembrava invece ingessato su modelli “imperiali” e sulla mistica eucaristica. Zizioulas criticava il “primato” petrino del papa romano sugli altri vescovi, ma rimaneva dentro uno schema “papista” a livello del potere del vescovo sulla sua diocesi (si veda il suo libro L’essere ecclesiale, ed. it. 2007). In un certo senso, la teologia trinitaria di Zizioulas prometteva molto, ma la sua ecclesiologia era in realtà una forma “tradizionale”, più figlia della teologia imperiale bizantina che di quella dei Padri cappadoci. D’altra parte, nemmeno la critica di Volf era esente da lacune. Con la sua teologia trinitaria “sociale”, Volf aveva la tendenza ad appiattire le distinzioni e a perdere il senso dell’ordine nella trinità e quindi nella chiesa.

Questo per dire che il pensiero di Zizioulas è molto ricco e la sua influenza è andata ben oltre i circoli della teologia ortodossa, lambendo anche le rive della teologia evangelica. Sui temi trinitari, sarebbe interessante un confronto con la teologia dell’“uno e i molti” del teologo riformato Cornelius Van Til (1895-1987) che è stata abbozzata nel fascicolo “Trinità e realtà”, Studi di teologia N. 34 (2005). E’ un campo di ricerca che potrebbe essere perseguito.

[1] Una recensione del libro di Volf è in Studi di teologia N. 21 (1999) pp. 115-116.


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