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La fine del “paradigma tridentino”?

E’ stato lo storico Paolo Prodi (1932-2016) a coniare l’espressione “paradigma tridentino” per indicare il blocco identitario uscito dal Concilio di Trento (1545-1563) e che ha plasmato la Chiesa cattolica per secoli, almeno sino alla seconda metà del 20° secolo. In un libro tra i suoi più famosi, Il paradigma tridentino. Un’epoca della storia della chiesa, Brescia, Morcelliana 2010, Prodi ha esplorato l’auto-comprensione della chiesa istituzionale di Roma che, sulla scia della “minaccia” della Riforma protestante ed in risposta ad essa, ha serrato i ranghi gerarchici e piramidali sino al primato del Papa, consolidato l’impianto sacramentale, strutturato (meglio: irregimentato) la chiesa in forme canoniche e parrocchiali rigorose, disciplinato le devozioni popolari e la controllo delle coscienze, rilanciato la missione per contrastare la diffusione della Riforma e per anticipare gli Stati protestanti nel tentativo di arrivare prima nei Paesi non ancora “evangelizzati”, promosso modelli di santità per coinvolgere emotivamente i laici, ispirato artisti per scolpire in forma plastica e memorabile il nuovo protagonismo della chiesa di Roma.

Il paradigma tridentino ha prodotto il Catechismo romano di Pio V (1566) quale sintesi dogmatica della fede cattolica a cui i cattolici dovevano attenersi scrupolosamente, la teologia controversista di Roberto Bellarmino per sostenere l’azione apologetica anti-protestante, le grandi creazioni artistiche del barocco di Bernini (come il maestoso colonnato di San Pietro) per rappresentare la chiesa come vincitrice sugli avversari e nuovo mecenate di artisti ed intellettuali.

Il paradigma tridentino ha retto la sfida della Riforma protestante, ma non solo. Con lo stesso paradigma, Roma ha anche affrontato il secondo tentativo di spallata proveniente dal mondo moderno: quello dell’illuminismo (sul versante della cultura) e della Rivoluzione francese (sul versante della politica) tra il Settecento e l’Ottocento. Col medesimo paradigma identitario, istituzionale, sacramentale e gerarchico uscito dal Concilio di Trento, Roma si è difesa dall’attacco della modernità e ha contrattaccato. Con i dogmi dell’immacolata concezione di Maria (1854) e dell’infallibilità papale (1870), che sono figli del paradigma tridentino, ha elevato la mariologia e il papato a elementi identitari del cattolicesimo moderno. Con il Sillabo degli errori (1864) di Pio IX ha condannato il mondo moderno, così come il Concilio di Trento aveva anatemizzato i protestanti. Con l’enciclica Aeterni Patris (1879), Leone XIII ha elevato il tomismo a sistema di pensiero cattolico contro tutte le derive della cultura moderna.

Il paradigma tridentino esaltava la chiesa di Roma e condannava i nemici. Stabiliva chi era dentro e chi era fuori. Aveva un magistero certo e delle pratiche sicure. Definiva la dottrina cattolica e respingeva le eresie “protestanti” e “moderniste”. Autorizzava controllate forme di pluralismo ma dentro la compagine compatta dell’organizzazione centrale. Secondo il paradigma tridentino era chiaro chi fossero i cattolici, cosa credessero, come ci si aspettasse che si comportassero e come funzionasse la chiesa. 

Poi, è cambiato il mondo ed è cambiato il cattolicesimo. Col Concilio Vaticano II (1962-1965) il paradigma tridentino è stato via via picconato. Non in modo frontale e diretto, ma seguendo la strada della “nuova cattolicità” del cattolicesimo, secondo il felice titolo del libro di Vittorio Subilia (La nuova cattolicità del cattolicesimo, Torino, Claudiana 1967). Ovviamente, Roma non fa nessuna inversione a U e non sterza in modo brusco. Trento è ancora lì e le strutture dogmatiche ed istituzionali del paradigma tridentino sono in piedi. Solo che la Chiesa cattolica ha iniziato a vederne i limiti e a desiderarne il superamento per abbracciare una nuova postura nel mondo. Anche se Paolo VI ha visto da subito i rischi di abbandonarlo, Giovanni Paolo II ha cercato di elasticizzare il paradigma tridentino estendendolo alla chiesa universale. Benedetto XVI ha coniato l’espressione “riforma-nella-continuità” per provare a spiegare la dinamica cattolica di cambiamento senza cesure col passato. 

Chi sembra percepire il paradigma tridentino con una certa insofferenza è papa Francesco. Le sue invettive contro il “clericalismo” sono dirette a vissuti cattolici nutriti dallo spirito tridentino. Le distinzioni tipiche del paradigma tridentino sono rese fluide: clero/laici; uomo/donna; cattolico/non cattolico, eterosessuali/omosessuali, sposati/divorziati, ecc. sono progressivamente sciolte in un tutt’uno cattolico. Se il paradigma tridentino distingueva e selezionava, Francesco vuole accomunare tutto e tutti. Il primo separava il cattolicesimo dal resto, questo papa vuole mescolare tutto. Il primo operava con la coppia bianco/nero, dentro/fuori, fedeli/infedeli. Francesco vede il mondo in cinquanta sfumature di grigio e tutti accoglie nell’ospedale da campo che è la chiesa.

La chiesa “sinodale” cara a Francesco sembra rovesciare la piramide tradizionale. A determinare le direzioni della chiesa è il “santo popolo di Dio” fatto di marginali, migranti, poveri, laici, persone in situazioni di vita irregolari. Prima c’erano eretici, pagani e scomunicati, ora siamo “fratelli tutti”. Non è il centro a guidare, ma le periferie. Non sono il peccato, il giudizio e la salvezza a occupare il discorso della chiesa, ma il suo messaggio oggi è declinato sui temi della pace, dei diritti, dell’ambiente. La chiesa non si vuole presentare più come “magistra” (maestra) ma solo come “mater” (madre). 

Con le sue richieste di estensione alle donne del sacerdozio e di benedizione delle coppie dello stesso sesso, il “cammino sinodale” tedesco sta effettivamente picconando il paradigma tridentino. Le prime risultanze del “percorso sinodale” nelle diocesi europee sono attacchi al paradigma tridentino. Vero è che ci sono circoli conservatori (negli USA in particolare) che rivendicano il paradigma tridentino e lo vorrebbero rilanciare. Il punto è che il cattolicesimo romano si trova in mezzo ad un guado. Il paradigma tridentino è arrivato al capolinea? Se sì, quale sarà il volto del cattolicesimo di domani? Né il paradigma tridentino, né i vari percorsi sinodali cari a papa Francesco indicano una svolta evangelica della chiesa di Roma. La Chiesa di Roma era e rimane distante dalle istanze dell’evangelo.


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