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L’astensionismo, un problema non solo politico

Ogni volta che in Italia vi sono delle consultazioni elettorali, un dato che vale sempre la pena di notare è quello relativo agli astenuti, cioè di coloro che non votano. Alle recenti elezioni amministrative, l’astensionismo si è attestato intorno al 50%. Una persona su due degli aventi diritto al voto non è andata a votare. 

L’astensionismo è un fenomeno che va interpretato e suscita sempre delle domande. Certamente , come è un diritto votare, anche astenersi dal voto rientra nelle possibilità lecite. Tuttavia, esso indica una disaffezione dai processi elettorali e più in generale dalla politica. Segnala pure una certa stanchezza dell’elettorato che, non fidandosi della classe politica, non partecipa alle consultazioni, considerandole inutili. Oppure ci sono delle ragioni contingenti (relative a particolari circostanze: come le consultazioni troppo frequenti o i quesiti referendari troppo complessi o astratti o la mancanza di offerta politica adeguata) che scoraggiano molti ad andare a votare. 

In ogni caso, l’astensionismo è un indice di distacco e di distanza critica dalle responsabilità pubbliche. Talvolta è anche una vera e propria protesta nei confronti della situazione generale o una manifestazione di un atteggiamento rinunciatario e rassegnato. 

In generale, la responsabilità cristiana richiede un ruolo attivo nella partecipazione alla vita pubblica. Ciò significa, tra l’altro, esercitare il proprio diritto di voto senza delegare ad altri le scelte che riguardano tutti o senza alimentare forme di spiritualismo che testimoniano un disinteresse per la vita sociale, economica, culturale, politica, dunque pubblica. La cittadinanza cristiana passa anche dall’esercizio responsabile del voto. 

E’ giusto riflettere sulle cause dell’astensionismo politico. I partiti, le istituzioni, ma anche l’opinione pubblica, si devono soffermare sulle ragioni che spingono tante persone a non partecipare ai processi della democrazia rappresentativa e possibilmente farvi fronte. Forse la conflittualità esasperata del dibattito politico spinge molti a stare alla larga. Forse la scarsa qualità dei candidati induce altri a non fidarsi. Forse ancora la poca credibilità della politica in generale scoraggia altri ancora.

C’è un altro tipo di astensionismo a cui prestare una qualche attenzione. Si tratta dell’astensionismo nella vita della chiesa. Esso si verifica quando i membri della chiesa sembrano essere passivi, disattenti, disinteressati alle dinamiche della vita della chiesa. Non partecipano, non collaborano, non contribuiscono. Oppure, quando per protesta contro qualcuno (forse i conduttori?) e qualcosa (forse qualche iniziativa non gradita?), assumono atteggiamenti attendisti, passivi, indisponibili a ogni coinvolgimento. Forse si potrebbe definirlo un astensionismo ecclesiale. Quando questa forma di astensionismo raggiunge percentuali importanti, la vita della chiesa ne soffre. Si verifica una sorta di paralisi e si crea un clima di sfiducia.

Come un Paese dovrebbe allarmarsi se metà della popolazione non va a votare, così la chiesa dovrebbe interrogarsi sulle forme di astensionismo ecclesiale che si verificano al suo interno. Cosa induce i membri alla passività? Quali sono le ragioni dello scollamento? Cosa può essere fatto per migliorare la qualità della vita della chiesa in modo da prevenire forme di disaffezione allargata?

La concezione evangelica della chiesa è quella di un’assemblea di credenti, di “confessanti”: non di persone che passivamente partecipano ad una convenzione religiosa, ma di una comunità di discepoli/e del Signore che camminano insieme. Se c’è astensionismo ecclesiale, vuol dire che si sta transitando verso una forma della chiesa “nominale”, moltitudinista, dove la gente mantiene il nome di “cristiano” senza viverlo nella sua autenticità. 

Come l’astensionismo politico dà il polso della salute della vita pubblica di un Paese, così l’astensionismo ecclesiale indica un problema nella vita della chiesa. Negarlo non aiuta, esacerbarlo nemmeno. Nel primo e nel secondo caso, andrebbero riconsiderati e valorizzati gli impegni della vita pubblica e gli impegni della vita ecclesiale e ripartire da lì.


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