Lavoro come missione? Sì e no
[Questo articolo è stato già pubblicato il 15 giugno 2020. In occasione del periodo estivo, la redazione di Loci Communes ha scelto di ripubblicare articoli che ritiene rilevanti, alternandoli a nuovi. Buona lettura!]
Che la pandemia stia dando uno scossone al mondo del lavoro è fuori discussione. La perdita di posti di lavoro, lo smart working, i condizionamenti sul modo di lavorare (mascherine, distanziamenti sociali, ecc.) sono lì a mostrare che anche il lavoro cambia. Ma come? E quale impatto ha sul vissuto cristiano del lavoro come vocazione e missione? Un interessante articolo pubblicato sul sito della Commissione Missione del’Alleanza Evangelica Mondiale dal titolo: “Missions in a Covid crisis: work implications” fotografa la situazione globale e offre spunti di riflessione.
Lavoro perso
Il distanziamento sociale ha messo in condizioni i consumatori di rifornirsi solo dei beni essenziali (alimenti-medicine), di fatto interrompendo i virtuosi cicli economici e riducendo drasticamente le opportunità lavorative. In qualche modo tutto il mondo si è trovato a vivere un’esistenza di sussistenza. Gli aiuti statali, anche se provvidenziali, hanno permesso di rispondere ai bisogni solo in parte. Pensiamo che nella maggior parte del mondo il problema non è rifiutare il lavoro a favore dell'ozio, ma è l'incapacità di trovare lavoro. Il tasso di disoccupazione negli USA è il più alto che ci sia stato dalla Grande Depressione. Il tasso di disoccupazione dell'India è al 24% (rispetto al 6,5-7% del maggio 2019) e si stima che 120 milioni di persone rimarranno senza lavoro e 80 milioni di posti di lavoro scompariranno completamente. Ad integrazione delle statistiche riportate nell’articolo, secondo i dati dell’ISTAT[1], in Italia ad aprile l’occupazione ha registrato un forte calo (-1,2% pari a -274mila unità), portando il tasso di occupazione al 57,9% (-0,7%).
Lavoro da recuperare
In questa difficoltà globale e in un momento di crisi come questo, è il significato stesso del lavoro ad essere in discussione. Nell’articolo il lavoro viene definito come parte dell’esistenza umana. Il Dio biblico è un Dio che lavora e la capacità umana di lavorare, in modo creativo per qualcosa di unico e bello, è radicata nel nostro essere creature ad immagine di Dio. A causa della caduta, l’entrata nel mondo del peccato, ci siamo trovati non più a lavorare nelle stesse condizioni. Praticamente quello che doveva essere la riproposizione del lavoro creativo, buono e utile di Dio, è cambiato, distorto ed inquinato. Oggi ci troviamo a lavorare sforzandoci, con fatica e in uno stato di perenne alienazione. La buona notizia è che con l’incarnazione, la vita, la morte e la risurrezione del Signore Gesù Cristo e per mezzo del rinnovamento per mezzo della fede in Lui, anche il lavoro può scoprire una dignità che era persa. Con Cristo e grazie a Cristo, ogni sforzo lavorativo è occasione di testimonianza per la gloria di Dio. Con Lui l’ambiente lavorativo diventa campo di vita, di missione, di evangelizzazione, un ambiente da irradiare con l’evangelo.
Lavoro da onorare
Nella post-pandemia, si prospetta un grave problema per il mondo del lavoro: innescare meccanismi utili per stimolare la creazione di posti di lavoro per ridare slancio ad una delle vocazioni primarie della vita umana. In questo scenario qual è il ruolo della chiesa, delle organizzazioni missionarie, delle varie agenzie para-ecclesiali? L’articolo afferma che è necessaria una profonda cooperazione tra la chiesa e le organizzazioni missionarie e non semplici partenariati di facciata: collaborazioni che funzionino efficacemente e che, invece dell’autoreferenzialità, promuovano l’avanzamento comune con l’obiettivo di creare ricchezza mettendola in rete. Questo non è il momento di fermarsi nel fare il bene. La chiesa, cioè il popolo di Dio, deve considerare la “creazione di ricchezza come elemento centrale della nostra missione di trasformazione olistica dei popoli e delle società”, così come afferma il documento “Manifesto per la creazione di ricchezza” del Movimento di Losanna.
L’articolo è utile in quanto mette a tema un problema centrale del nostro tempo e richiama la chiesa evangelica alle sue responsabilità. Ci sono alcuni limiti, tuttavia. Il concentrare tutto il discorso sul lavoro come “opportunità per la missione” può ancora dare l’idea che il lavoro sia funzionale a produrre risorse da destinare alla missione e all’evangelizzazione. Questa è una riduzione, anzi una distorsione della visione biblica del lavoro. Il lavoro ha una dignità propria che è sì legata alla messa in rete di risorse per la testimonianza, ma non si esaurisce a questo. Il lavoro è parte del mandato culturale, cioè abitare responsabilmente il mondo alla gloria di Dio, e certamente anche di quello missionario, cioè fare discepole le nazioni. Non lavoriamo primariamente per produrre risorse per la missione: lavoriamo per rispondere ad un mandato che Dio ci ha dato di abitare la terra per la sua gloria. La sigla “lavoro come missione” sottolinea giustamente il fatto che il lavoro sia integrato nella “missione”, a patto che la missione sia intesa come chiamata olistica a vivere tutta la vita amando Dio ed il prossimo. Solo se collegherà Genesi 1 a Matteo 28 il pensiero evangelico potrà dire qualcosa di significativo sul lavoro, anche nella crisi che stiamo vivendo.