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Le beatitudini “umaniste” dell’omelia del card. Zuppi

Com’era prevedibile, il funerale di stato di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo da poco scomparso, ha avuto un’esposizione mediatica molto rilevante. La presenza del presidente Mattarella, di Draghi, della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dei presidenti di Camera e Senato (Fico e Casellati), di ministri (Di Maio, Franceschini, Bianchi), giornalisti (Riotta, Maggioni), uomini politici e di cultura (si sono visti Prodi, Veltroni, Gentiloni) hanno reso il funerale un evento pubblico di rilievo. Sassoli è stato un giornalista e un politico apprezzato in modo trasversale e a livello internazionale (era presente anche il premier spagnolo Pedro Sánchez e Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo).

Nella solennità della basilica di Santa Maria degli Angeli, ciò che ha colpito di più un ascoltatore evangelico è stata l’omelia del cardinal Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e amico personale di Sassoli. Tra l’altro, Zuppi è considerato un autorevole esponente della linea “bergogliana” della chiesa cattolica e un papabile al prossimo conclave. 

La sua omelia è iniziata con un “fratelli e sorelle” rivolto a tutti i presenti, come se tutti (credenti e non credenti o diversamente credenti) fossero tali e si è concluso con un evocativo “fratelli tutti” a rinforzo del richiamo alla comune fraternità (che prescinde dalla fede) e collegandosi all’omonima enciclica di Francesco sulla fraternità universale. E’ ovvio che la fraternità del card. Zuppi non è definita dalla fede in Cristo (come dice la Bibbia) o dall’adesione alla chiesa di Roma, ma dalla comune umanità a cui tutti appartengono, volenti o nolenti. E’ una soglia dottrinale e simbolica irreversibile che il cattolicesimo ha attraversato, non distinguendo più tra chi è “dentro” e “fuori” dal suo mondo, ma coinvolgendo tutti nella fratellanza comune di cui la chiesa è segno e strumento.    

L’omelia si è soffermata sulle innegabili qualità umane di Sassoli, ricordandone l’interesse per gli altri, l’attenzione agli ultimi, l’impegno costante nella società. Credo che Cristo sia stato citato una volta soltanto, ma al centro dell’omelia c’era Sassoli. Non di una predicazione cristocentrica si è trattata, ma della celebrazione delle virtù di un uomo. Anche questo è indicativo di una tendenza più generale nel cattolicesimo. Questo tipo di omelia non annuncia Cristo, il suo essere uomo-Dio, la buona notizia di cui è portatore per i peccatori altrimenti perduti, ma parla degli uomini, del loro esempio, della loro bontà. Alla fine dell’omelia, l’ascoltatore non ha sentito niente o quasi di Cristo e molto se non tutto di Sassoli.   

Citando don Milani, John Donne e David Maria Turoldo, l’omelia ha avuto in filigrana le beatitudini del sermone della montagna. Il card. Zuppi le ha passate in rassegna una a una, non parlando della nostra incapacità di viverle in quanto peccatori e del nostro bisogno di Cristo come Salvatore che dà accesso alla felicità, ma di come Sassoli le abbia rispecchiate tutte in modo virtuoso nella sua vita. Le beatitudini sono state lette in chiave "inclusiva,  umanistica e umanitaria" (parole del cardinale). Il peccato non è mai stato citato, né il giudizio di Dio, né la croce. Nessun appello al pentimento e alla conversione. La cifra dell’omelia è stata solidaristica, non evangelica. 

L’omelia ha usato le parole dell’evangelo, ma non ha predicato l’evangelo. La sua cornice teologica era l’“umanesimo solidale” tanto caro a Papa Francesco e che è diventato il paradigma dell’annuncio cattolico contemporaneo. Questo “vangelo” cattolico romano dice che, alla fine, siamo tutti fratelli e siamo tutti buoni, chi più chi meno, già tutti inclusi in quanto donne e uomini nella grazia di Dio. Peccato che non sia l’evangelo del Signore Gesù di cui parla la Scrittura. La Bibbia dice che per essere “beati”, dobbiamo confessare il nostro peccato e, sulla base della bontà di uno solo: il Signore Gesù che ha pagato il prezzo del nostro peccato, essere rivestiti della sua giustizia e camminare in una vita nuova. Felici non si nasce, si diventa credendo. Questa buona notizia era del tutto assente nell’omelia del card. Zuppi.


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