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Libertas per tirare a campare o a costo di morire? Libertà e fede a ottocento anni dalla fondazione dell’Università di Padova

A Padova si respira molta storia. Quest’anno in particolare, l’attività culturale della città ruota attorno alle celebrazioni per gli ottocento anni dell’Università (1222-2022). È un’occasione significativa per la memoria ed il prestigio dell’ateneo, poter rievocare un percorso così lungo, con collegamenti e diramazioni anche a livello internazionale. In questa storia è stata respirata (e si respira ancora oggi) l’aria rinnovatrice della Riforma protestante. Fin dai primi anni dopo l’affissione delle 95 tesi a Wittenberg (1517), il pensiero protestante circolava nell’ateneo ed anche nei territori della Repubblica di Venezia, in cui Padova giocava un ruolo culturale di primo piano. 

Qui soggiornò Pietro Martire Vermigli prima del suo esilio; qui docenti e studenti d’Oltralpe facevano circolare molte idee nuove; qui arrivarono, attraverso le stampe delle tipografie veneziane, gli scritti dei riformatori. Non si può però dire che l’aria fosse sempre facilmente respirabile. Contrasti ed opposizioni si diffondevano dallo Studio padovano, generando non poche turbolenze in tutta la regione. Qui si consumò il famoso caso Spiera, l’avvocato di Cittadella morto per il rimorso, dopo essere stato costretto all’abiura (1548); qui doveva nascondersi chiunque provasse solo ad entrare in possesso di una Bibbia o del “Beneficio di Cristo” di Benedetto da Mantova e Marcantonio Flaminio; soprattutto, nell’università padovana venne perseguitato e arrestato, prima di essere giustiziato dal papa a Roma (1556), Pomponio Algerio. 

L’attuale presenza evangelica in città, mossa da molto più di semplici pruriti culturali, è sempre stata sensibile e attenta a questi richiami storici. Attraverso convegni, pubblicazioni, visite guidate, ha mantenuto i contatti con l’ateneo, cercando di recuperarne e valorizzarne la portata. Non poteva perciò mancare il contributo evangelico tra gli appuntamenti in programma per l’ottocentenario ed in questa cornice sono da collocare le due “tavole rotonde” realizzate dall’IFED il 19 e 21 ottobre, in collaborazione con la stessa università, dal titolo “Libertà e fede”. Un’occasione insolita, sia perché, invece di essere relegate nell’ambito strettamente religioso, le due tavole rotonde sono state inserite nel palinsesto scientifico delle celebrazioni, sia rispetto al modo “nicodemitico” con cui spesso il mondo evangelico tende a mantenere le distanze dagli ambienti culturali e dai centri di nascita e propagazione del pensiero.

Tornando all’aria fosca spesso respirata in città, non poteva esserci altro tema per esplorare i collegamenti tra l’ateneo e la presenza evangelica. Qualsiasi altra chiave avrebbe rischiato eludere le questioni di fondo, alimentando retoriche idealistiche tipiche delle celebrazioni incapaci di fare i conti con la realtà. Vediamo il motivo di tale affermazione, entrando nei contenuti delle due serate, entrambe moderate da Pietro Bolognesi, pastore della chiesa evangelica di Padova e presidente dell’IFED.

Nel primo dei due incontri si è cercato di esplorare la realtà de “La presenza protestante nell’università patavina”. Dennj Solera, dell’università di Bologna, curatore insieme ad altri studiosi del volume Patavina libertas. Una storia dell’Università di Padova (1222-2022) e Daniele Labanti, specializzato in storia del Medioevo e giornalista del Corriere di Bologna, hanno animato la discussione, presentando in maniera vivace e interessante l’intreccio tra fatti e idee nello Studio patavino, durante il XVI secolo. 

Protagonista di primo piano è stata la Patavina Libertas, simbolo che campeggia su tutti i vessilli dell’ateneo padovano e valore di riferimento fondamentale. Esso è l’indice più evidente delle rivendicazioni padovane di indipendenza ed affrancamento da qualsiasi signoria esterna. La scioltezza della conversazione ha però subito una sorta di trauma quando la descrizione idealistica di questo simbolo si è scontrata con la realtà di una semplice targa nel cortile dell’orgogliosa università. Una targa semplice e concreta, davanti alla quale crolla la mitizzata Libertas. Sono poche asciutte parole che ricordano il martirio di “Pomponio de Algierio da Nola” qui arrestato “per le sue idee religiose da lui difese fermamente”. Quella targa è un duro colpo per le rivendicazioni di integrazione tra libertà e fede. Era libertà vera? Se sì, perché alcuni hanno dovuto esiliare ed altri, come Pomponio, hanno pagato con la propria vita? Era libertas ambigua. Si trattava di uno status di privilegio per docenti ed insegnanti, beneficiari di diritti altrimenti negati ai semplici cittadini. L’università era di fatto una zona franca, per prelazioni di tipo politico, sociale ed economico. Nulla a che vedere con la libertà di coscienza reclamata dai riformatori e sviluppatasi nei secoli successivi in seno a diversi movimenti protestanti. Erano tollerati i comportamenti diversi, ma non le idee, soprattutto se di natura religiosa. 

La chiusura della prima serata ha svolto una funzione di prologo per la seconda, in cui Guido Mongini dell’università di Padova e Filippo Barbé dell’IFED, hanno ristretto l’obiettivo sulla figura di Pomponio Algerio, confrontandosi sullo “Studente che sfidò il papa”, prendendo spunto dal libro con cui Umberto Vincenti, anch’egli docente nell’università di Padova, ne racconta l’arresto, il processo ed il martirio. Mentre nelle considerazioni di Mongini emergeva la “fortissima coerenza tra pensiero e comportamento in Pomponio”, Barbè ha aiutato a comprenderne la matrice e le caratteristiche, identificando la realtà della libertà vissuta da Pomponio come qualcosa di più ampio e legato alle proprie convinzioni di fede. Il senso di libertà, fortemente radicato nella testimonianza di Pomponio, non è quella del “battitore libero” e precursore del suo più famoso concittadino Giordano Bruno. Essa è piuttosto da inserire nel quadro più ampio della visione riformata di matrice calvinista, nel cui seme erano già presenti i geni della libertà politica, di scienza e di coscienza, che si sarebbero sviluppati nei secoli successivi. 

Sono quindi gli evangelici, non l’università di Padova, a poter rivendicare l’eredità di Pomponio. Sono state le sue convinzioni, quindi la sua fede, e non il suo pur eroico comportamento a lasciare un segno incancellabile nella storia e nella coscienza dell’università di Padova e di tutta la controriforma italiana. Se si aspira ad una vera riforma della cultura nella nostra nazione, simili occasioni di confronto e di chiarimento con la storia sono aria da respirare a pieni polmoni.


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