L’intolleranza e le sue propaggini (anche nelle chiese evangeliche)
Sir Ahmed Salman Rushdie è uno scrittore e saggista di origine indiana naturalizzato britannico. Nel 1988 ispirandosi al Corano e a Maometto, scrisse il libro I versi satanici, suscitando l’ira di molti ambienti islamici nei suoi confronti. L’allora governo iraniano khomeinista pronunciò una sentenza di condanna a morte e l’applicazione di una taglia sul suo capo. Per questo motivo Rushdie, da allora, vive sotto scorta. Questa protezione offertagli per la sua incolumità non ha impedito ad un attentatore di aggredirlo lo scorso agosto a New York, infliggendogli varie ferite con gravi conseguenze alla sua salute e forse anche con menomazioni fisiche.
Evidentemente il tempo trascorso non ha fatto dimenticare la condanna a morte inflittagli e neanche ha fatto assopire l’odio che quello scritto aveva suscitato, essendo considerato blasfemia. Questo episodio ha fatto scalpore e ha suscitato due reazioni diverse: di approvazione ed esaltazione della fedeltà religiosa dell’attentatore da una parte e di disapprovazione del suo fanatismo da parte di altri.
L’episodio ricordato suscita delle domande ed induce a porre l’attenzione su vari temi connessi tra loro. Ne cito qualcuno: la libertà religiosa, la libertà di pensiero, la libertà di coscienza e sempre, ed in ogni caso, la ferma disapprovazione della violenza in qualunque forma essa possa essere espressa; il mancato riconoscimento della dignità di ogni essere umano porta alla prevaricazione di alcuni e soggezione dell’altro.
L’intolleranza mostrata verso Rushdie, ma lo stesso scritto che egli produsse, induce a riflettere sulle implicazioni morali che determinano intolleranze che possono sfociare anche in comportamenti deplorevoli, come in questo caso. La libertà di pensiero e delle sue manifestazioni in qualunque modo essa si estrinseca, non dovrebbe forse avere il presupposto del rispetto del pensiero altrui, anche se non condiviso? Non appare forse deprecabile assumere atteggiamenti e comportamenti intolleranti, sarcastici e denigratori, talvolta opprimenti e persecutori, verso chi la pesa in maniera diversa, fino al punto di suscitare odio e persecuzione?
La fede cristiana biblica, correttamente intesa, non approva comportamenti del genere. Il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo dovrebbe indurre ad altri modi di porsi gli uni nei confronti degli altri: ad esempio, di non fare agli altri quello che non volessi fosse fatto a te (la regola aurea). Queste parole suggeriscono rispetto a apertura al dialogo verso qualcuno con cui ci si confronta, proprio come suggerisce l’apostolo Pietro in 1 Pietro 3,15. Il dialogo ed il confronto non devono venir meno. Per quanto in occidente ci sia sensibilità verso il prossimo, non sempre si colgono riscontri apprezzabili. Sembra che viga la regola del più forte e questi ultimi realizzano sempre più privilegi con conseguente danno degli altri. Non sembra che siano insufficienti le carte costituzionali, le dichiarazioni ed i trattati che vengono prodotti. In certe situazioni anche la diplomazia si arena.
Purtroppo, anche nelle chiese evangeliche non sempre abbiamo acquisito la capacità di dialogare senza mostrare intolleranza o insofferenza verso gli altri: chi non ha capito, chi fa domande, chi la pensa diversamente, ecc. Non si tratta di appiattire le convinzioni o di accettare che tutti abbiano ragione. Per dialogare non bisogna essere già d’accordo. Si tratta invece di imparare a parlarsi senza ricorrere alla violenza verbale e comportamentale, disponendosi all’ascolto attento e all’interazione franca e rispettosa. Ci sono censure che non necessariamente sfociano in violenza (come nel caso di Salman Rusdhie) ma creano ambienti tossici che inibiscono il dialogo.
Mentre denunciamo la prevaricazione di chi ha armato culturalmente il braccio dell’attentatore di Rusdhie e mentre ci facciamo portavoce della necessità di sviluppare relazioni all’insegna del rispetto nelle relazioni, facciamo sì anche che le nostre chiese siano spazi di conversazione e di relazione in cui praticare la regola aurea insegnataci dal Signore Gesù. Lo stesso Signore ci ha insegnato che è dal cuore dell’uomo che esce ogni sorta di male ed è Lui che ha agito nella sua incarnazione (passione, morte, resurrezione e ascensione) affinché il cuore potesse essere sanato. Se non sono i credenti in Gesù Cristo a vivere i suoi insegnamenti, possiamo aspettarci che gli altri lo facciano?