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L’ultimo dialogo di Monica con suo figlio Agostino

Il libro IX delle Confessioni di Agostino è dedicato al periodo della sua vita che da Milano, dopo la conversione a Cristo, lo portò a Ostia in attesa di imbarcarsi per tornare a Ippona. Di questo libro, in particolare, colpiscono i dialoghi avuti tra Monica e Agostino, madre e figlio, in un tempo particolare: quello dell’avvicinarsi della morte di lei, che avvenne ad Ostia nel 387 all’età di 56 anni.

Visitando l’area archeologica di Ostia Antica con le Confessioni in mano, c’è la possibilità di visualizzare, almeno in parte, il luogo in cui queste conversazioni ebbero luogo. Scrive infatti Agostino: “appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare”. 

Ostia Tiberina è oggi una splendida area archeologica dove, tra le altro, è possibile visitare i resti dell’antica sinagoga, il teatro, le piscine e le botteghe che facevano di quest’area una vivace parte della città di Roma. Qui risiedette Agostino con Monica in attesa di ripartire, anche se per Monica Ostia diventò anche il luogo della sua morte.

Tornando al dialogo tra loro, di cosa parlarono madre e figlio quando fu chiaro che le condizioni di salute di Monica andavano rapidamente deteriorandosi? Intanto, lo scambio è preceduto da una digressione biografica sulla vita di Monica. Suo figlio ne ricorda le virtù spirituali, ma anche la gioventù travagliata. In particolare, Agostino ricorda il periodo in cui la giovane Monica ebbe un problema con l’abuso nel consumo di vino. Viene addirittura indicata come “beona”. Da questa dipendenza giovanile era stata liberata. Come Agostino non aveva occultato i suoi trascorsi libertini, così, pur avendo della madre la massima stima umana e fraterna, non rimosse le pagine oscure della sua vita passata. Al contrario, le evoca per far risaltare la grazia di Dio nell’aver preso delle vite spezzate dal peccato (la sua e quella di sua madre) e di averle salvate, guarendole anche dai vizi e dai comportamenti devianti. Per Agostino, il proprio passato oscuro e peccaminoso non va occultato, ma va raccontato per esaltare la grandezza di Dio nell’aver mostrato la sua grazia a persone sicuramente immeritevoli. E’ la gloria di Dio che deve risaltare nel testimoniare di come Lui ha preso in mano delle vite altrimenti perse.

In uno degli ultimi scambi, Monica dice al figlio: "Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?"

Monica è attraversata da un sentimento molto comune tra i morenti: quello dell’inutilità della loro vita attuale e dell’essere solo di peso per gli altri: “che ci faccio qui?” Anche questo pensiero è condiviso da lei al figlio e da Agostino a noi lettore. Lei è una cristiana, eppure deve fare i conti con il pensiero della perdita di senso della vita che si sta spegnendo. C’è di più. Monica dice che quello che sperava da parte di Dio, l’ha visto e ottenuto: la conversione di suo figlio Agostino. Era stato quello il desiderio, la preghiera ardente della sua vita. Dio le aveva concesso di vedere suo figlio diventare un cristiano e desiderare di servirLo più che ricercare i piaceri della vita. Ora la sua vita è come se avesse raggiunto un senso di pienezza da non desiderare altro che raggiungere il suo Signore.

Lasciando Ostia Antica con le parole di quell’antico dialogo nel cuore, ci siamo chiesti: “cosa ci facciamo qui? Che cosa ci fa desiderare di rimanere ancora in vita? Qual è la richiesta che facciamo al Signore prima che ci chiami a Sé?” 

Dio aveva soddisfatto la richiesta di Monica, il resto era per lei un “extra-time” che poteva finire in qualsiasi momento. E per noi?


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