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L’uomo non vive di sola scienza. Nota a margine di due libri del fisico Guido Tonelli

Recentemente Feltrinelli ha pubblicato in successione due libri di Guido Tonelli: Genesi. Il grande racconto delle origini, Milano Feltrinelli, 2019 e Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos, Milano Feltrinelli 2021. Per chi non lo conoscesse Tonelli, è professore di fisica generale all’Università di Pisa e ricercatore al Cern di Ginevra dove in passato ha contribuito significativamente alla scoperta del bosone di Higgs,fino ad allora solo teorizzato. Pluripremiato fisico, Tonelli spicca tra le tante eccellenze che l’Italia può vantare in ambito scientifico ed accademico.

Negli ultimi anni in particolare, oltre alle opere sopracitate, ha realizzato diverse pubblicazioni a carattere divulgativo. La motivazione che ha portato a questi libri viene esplicitata in Genesi. Così come ogni comunità passata conosceva i propri miti delle origini, così oggi ognuno deve conoscere la narrazione che la scienza dà della nascita e dell’evoluzione dell’universo.Citando una conversazione con Sergio Marchionne nella prefazione del libro si parla delle origini dell’universo come di “ciò che è veramente importante”.

Tonelli va avanti. Dopo un’interessante e chiara descrizione (anche per dei semplici neofiti) dei passaggi che hanno condotto dal Big Bang all’oggi, alla fine del libro tira le conclusioni. In particolare si concentra sull’utilità dell’immaginazione come vantaggio evolutivo che ha condotto l’uomo fino a qui. Fondamentalmente l’idea di credere in qualcosa, e tra questi anche i miti dell’origini, permetteva ai nostri antenati di riuscire a resistere nelle situazioni difficili, a rialzarsi dalle tragedie, perché si era sicuri di far parte di qualcosa di più grande. Arte, religione, filosofia, scienza sono stati nei secoli il nostro rifugio per affrontare il mondo. Allo stesso modo oggi la scienza, nel suo progresso senza fine, ha lo scopo di ridefinire i paradigmi delle nostre esistenze, ristruttura la nostra filosofia, aggiorna la nostra cultura, ricondiziona le nostre relazioni (quando parla per l’oggi Tonelli smette semplicemente di citare la religione). Per cui questo sistema di pensiero unitario, una nuova visione del mondo, basato sulla scienza, risulta il modo migliore per affrontare il domani.

Rimane una criticità importante. Sicuramente il progresso scientifico è un bene inestimabile per l’umanità. Trovarci dopo qualche migliaio di anni dall’invenzione della ruota alla Stazione Spaziale Internazionale è un qualcosa di esaltante, che risponde al mandato creazionale di Dio di crescere e di rendere soggetta la terra. Ma forse non si rischia di caricare la scienza di un peso eccessivo? Un carico che non è capace di portare? La scienza sicuramente interviene nel curare le malattie, nel permettere una prosperità e un benessere impensabili fino a poco tempo fa, ma in definitiva, risponde veramente alle questioni fondamentali? Comprendere l’immanente basta a dare un senso al trascendente?

Si corre quindi il rischio di fare della scienza il proprio idolo, il comun denominatore di tutta quanta l’esistenza. E ciò ha anche carattere di esclusività perché relega a mera immaginazione qualunque altra visione del mondo, e il carattere religioso dell’uomo a una eventualità evolutiva. Pare di trovarsi di fronte ad un aggiornamento della tesi dei sociologi positivisti dell’Ottocento come Auguste Comte che riteneva la religione uno stadio inferiore alla scienza in una scala evolutiva: una volta che la scienza si fosse affermata, la religione sarebbe decaduta in quanto inutile e superata.La storia è andata diversamente: la scienza si è affermata ma la religione è rimasta. L’uomo non vive di sola scienza.È curioso che uno scienziato avvertito come Tonelli pensi ancora dentro un’ipotesi di lavoro che la storia ha ampiamente smentito.

Ma come porsi, da cristiani responsabili, nei confronti della scienza? Rapidamente, ricordiamo quattro possibili approcci. Il primo è quello della concordia che mira a sostenere le concezioni scientifiche con il significato dei testi biblici. L’intento è pregevole ma a volte si rischia di forzare troppo l’esegesi. Il secondo è quello dell’opposizione, ovvero semplicemente si nega il dato scientifico a favore di un’esegesi più letterale. Anche qui spesso si fa violenza ai testi. Poi c’è l’approccio della scissione, semplicemente fede e scienza sono su due piani separati. Da un lato è vero che la Rivelazione biblica non è la cosmologia e viceversa, ma se la Bibbia non è un testo scientifico è proprio vero che di scienza non dica nulla? Infine abbiamo l’approccio della sobrietà, ovvero quello il cui intento primo è approcciare la Scrittura senza un “magistero scientifico”, per dirla con le parole di Henri Blocher (La creazione, l'inizio della Genesi, Roma, GBU 1984, p. 25), che imponga la sua visione o in qualche modo faccia sentire la sua scomoda presenza. L’esegesi deve rispettare la forma letteraria, il contesto storico, il significato del testo e la posizione nel canone all’interno della Rivelazione di Dio. Questo atteggiamento forse non riuscirà a dare subito risposta ad ogni questione. La fede non dispone immediatamente di tutte le risposte, non pretende che la scienza le dia subito ragione, e neppure perde la calma quando questa sembra contraddirla. È talmente sicura di questa Parola da poter esporre serenamente le proprie esitazioni attendendo senza impazienza che quanto è oscuro trovi un giorno spiegazione.


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