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Mani Pulite. Trent’anni dopo i cuori sono ancora sporchi

Sono passati trent’anni da quando iniziò Mani Pulite, l’inchiesta milanese che scoperchiò un sistema di tangenti che si era incistito nella politica, nell’economia e nella società italiana. Partendo da alcuni casi di corruzione relativamente minori (chi non ricorda Mario Chiesa e i soldi buttati nel gabinetto del Pio Albergo Trivulzio nel goffo tentativo di disfarsene?), il pool di magistrati portò alla luce non solo dei singoli fatti criminosi, ma un intero mondo di affari che venivano “oliati” da versamenti di denaro che andavano a beneficio di partiti ed esponenti politici in cambio di favori ed appalti.

Fu un momento traumatico per la vita del Paese. Vi furono arresti di alte personalità pubbliche, suicidi in carcere, inchieste che si spandevano a macchia d’olio. Crollò un mondo: quello dei partiti cinghie di trasmissione di una ragnatela di rapporti tutti basati sul “do ut des” all’insegna della corruzione. Vero è che cambiava il mondo (vedi il crollo del Muro di Berlino), ma Mani Pulite fu la spallata che fece venir giù il muro italiano fatto di tangenti su cui si reggevano i disequilibri italiani.

Mani Pulite fu anche un momento carico di speranza: la speranza della rigenerazione della vita pubblica, spurgata dalla piaga della corruzione e finalmente incanalata su pratiche di giustizia e procedure trasparenti. C’è chi dalla magistratura entrò in politica al grido di “onestà, onestà”, volendo rappresentare l’Italia dei valori (Di Pietro). Si affacciarono nuovi movimenti politici con promettenti propositi di moralizzare la vita pubblica e di mandare a casa i “ladroni” (Lega). Vi fu chi, approfittando delle macerie fumanti, si fece paladino di rimettere insieme i cocci in un messaggio di improbabile modernizzazione (Berlusconi). Altri ancora, appesantiti da eredità storiche rotte e non più proponibili, iniziarono un irrisolto cammino di ricerca di una strada riformista e progressista (PDS-Ulivo-PD). 

Sono passati trent’anni. Il trauma è stato forse superato nel senso che in Italia tendiamo a dimenticare presto e a non dare seguito ai roboanti proclami detti e ascoltati, ma la speranza suscitata in quella stagione si è rivelata tristemente vana. Dopo tre decenni, l’economia del Paese è ancora per un terzo sommersa, sfuggente al fisco, polverizzata in milioni di casi di evasione fiscale. Se solo pochi giorni fa, parlando dello scandalo del superbonus dell’edilizia, Draghi lo ha definito “la truffa tra le più grandi della storia della Repubblica”, ciò vuol dire che il nostro sistema degli appalti e delle relazioni tra amministrazione pubblica e impresa privata versa in condizioni moralmente pietose. E dietro e dentro le frodi miliardarie ci sono milioni di persone che, nel loro piccolo, evadono, fanno i furbi, non denunciano, si arrangiano perpetrando il male subito con il male causato.

A trent’anni da Mani Pulite non abbiamo imparato niente, o quasi. Purtroppo, aveva ragione il saggio d’Israele quando diceva che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”. E’ sì cambiata una generazione di italiani, ma non si è modificata la cultura italiana. Corrotta era e corrotta è. Il problema non erano le Mani Pulite, ma i cuori sporchi che sono rimasti tali e quali. Una pentola è stata scoperchiata, ma il contenuto marcio è rimasto intatto e non ci è voluto molto che un altro coperchio coprisse di nuovo il malaffare e ricreasse un clima favorevole alla sua rigenerazione, più scaltro e più furbo di prima.

Se i cuori non cambiano, le mani possono essere pulite per un tempo, salvo poi risporcarsi più di prima. Non abbiamo bisogno tanto di mani pulite, quanto di cuori puliti. La tangentopoli più grave è quella dei nostri cuori. Con cuori puliti, le mani si puliranno. Mentre per le Mani Pulite ci sono voluti alcuni magistrati coraggiosi, per i cuori puliti ci vuole qualcosa di più e di diverso. Anzi, ci vuole Qualcuno di diverso. Ci vuole Dio che scuota le vite, le rigeneri e le rilanci in un percorso nuovo: quello di una riforma spirituale secondo l’evangelo che diventi cambiamento culturale d’impatto. Ci vogliono donne e uomini che, toccate dalla grazia di Dio, diventino puliti dentro e puliti fuori. Ci vogliono comunità dell’evangelo che non vivacchino soltanto, ma si facciano interpreti di una cultura della buona notizia che diventi positivamente contagiosa. A trent’anni da Mani Pulite, si può ancora sperare in Cuori Puliti?


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