Mappe di vita dopo la pandemia
Il messaggio del coronavirus sembra chiaro. Col linguaggio crudele che la creazione malata sa usare quando vuol farsi sentire, ci dice che l’ordine del discorso va cambiato. Anzi, che è già cambiato. Le mappe su cui finora abbiamo orientato i nostri percorsi di vita sociale sono state ridisegnate. La scala dei valori non è più la stessa e scenari fino a poco tempo fa impercettibili, sono ora riconoscibili. Io ne riconosco cinque. Provo a delinearli.
La mappa dell’economia. Sono bastate poche settimane di confinamento e di lock-down per tornare a rimettere in discussione i suoi presupposti e il suo funzionamento. Sappiamo già che alcune cose cambieranno e che la globalizzazione subirà una trasformazione: i processi e le catene produttive si ridurranno, i mercati interni saranno privilegiati, i beni essenziali e di prima necessità avranno un profilo più nazionale. Inoltre, si investirà di più nella sanità pubblica, la mobilità delle persone si ridurrà e il ruolo dello Stato in molti settori, a partire dall’economia, crescerà. Lo stesso mondo del lavoro sarà duramente colpito e il rischio che aumentino i disoccupati è molto alto. I più vulnerabili – senzatetto, immigrati e rifugiati, popolazioni del quarto mondo – rischiano di essere letteralmente abbandonati. Crescerà l’impegno per un’economia che sosterrà la vita (salute, istruzione, energia pulita, beni comuni, circolarità).
La cartografia del potere. La pandemia ha accelerato la mutazione di ciò che si considera autorità legittima. La scienza (in primis, la medicina) e – soprattutto – la tecnologia rischiano di diventare forze totalitarie che modificheranno gli attributi delle democrazie contemporanee. È evidente come l’impatto dell’emergenza sanitaria sia stato ammortizzato grazie all’uso di tecnologie digitali sempre più avanzate. Dall’individuazione al monitoraggio delle infezioni, dall’enorme potenziale dell’intelligenza artificiale alla gestione delle informazioni e del disegno terapeutico, le leadership della tecnologia e delle aziende che la producono sono lampanti. Le nuove tecniche mettono in discussione concezioni della privacy ormai obsolete e il loro impatto renderà necessaria una riformulazione della cittadinanza: digitale, ma in che modo? La portata della sfida è, dunque, ancora tutta da scoprire, ma di certo non riusciremo più a fare a meno di infrastrutture tecnologiche e piattaforme digitali. La resilienza dell’Occidente passa necessariamente da qui.
Il disegno delle libertà fondamentali, a partire dalla libertà di culto. L’esperienza delle settimane passate ha dimostrato la difficoltà di un bilanciamento efficace tra rispetto della salute pubblica ed esercizio del culto. Il format precedente, almeno in Italia, sul piano formale assicurava a tutti (a prescindere dalla fede professata) il libero e pubblico esercizio del culto. Lo Stato laico non può cioè che registrare e dare adeguato riconoscimento alle istanze religiose che provengono dalla società civile. Il problema si presenta quando tali istanze rischiano – per lungo tempo – di essere liquidate come secondarie, quasi inutili. Non si discute della necessità di ricercare modalità di svolgimento di atti di culto che non presentino rischi, ma legittimare la compressione di libertà fondamentali è sempre pericoloso.
La planimetria della paura. Il timore dinanzi al virus diventa in questo modo la cifra morale della nostra società della sopravvivenza in cui tutte le energie vengono impiegate per evitare la morte e allungare la vita. La preoccupazione per la vita cede il passo all’isteria della sopravvivenza, dove però fa la sua ricomparsa in modo massivo, quasi scenografico, l’esperienza della morte. Per anni la nostra società ha fatto di tutto per allontanarci dalla morte e dal suo pensiero. Certo, conflitti, carestie e catastrofi ci sono sempre stati e in parte ci coinvolgono … ma il distanziamento etico ed emotivo dalla morte era comunque garantito. E oggi che la morte è processata in modalità quasi industriale, non possiamo non avere paura. A tutto questo non siamo più abituati: abbiamo cercato di sopprimerla e adesso non sappiamo come affrontarla. Non sappiamo neanche elaborare il lutto. Nessuno ci prepara più alla morte, eppure siamo nati per morire: ecco perché la troviamo sempre più terrificante.
La visione cristiana del mondo. Nel futuro ormai prossimo sperimenteremo un’inaspettata trasformazione e in questo processo la visione cristiana del mondo e della vita potrà ancora una volta rivelarsi “game-changer”, motore di un cambiamento radicale, e dare un contributo per superare tutti i limiti delle ideologie tradizionali. Questo però non significa che il contributo dei cristiani sarà corretto a prescindere. Come cristiani registriamo ancora numerosi fallimenti, siamo culturalmente prigionieri di un romanismo tacito, facilmente segnati da un rampante materialismo e da uno stile di vita dualistico. Si tratta di elementi da criticare quali ostacoli allo sviluppo di una sana cultura biblica e riformata nel nostro paese. Ma il loro superamento non può che passare da una ritrovata passione per un discepolato - della mente e del cuore - autentico e da una rinnovata enfasi sulla visione cristiana del mondo. Il recupero sistemico della dimensione della custodia e della cura rimane la cifra della responsabilità cristiana e, nella prospettiva di voler redimere tutte le sfere della vita, rappresenta uno tra i primi passi da realizzare. La visione cristiana del mondo e della vita potrà davvero dare un contributo alla società italiana e offrire una nuova mappa per il futuro.
Tratto da http://www.cerbi.it/sfide13.html