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Mistica e dintorni. Come si devono valutare le esperienze religiose?

Nell’immaginario evangelico “mistico” suscita un atteggiamento di sospetto, di distanza, di estraneità. Non esiste nel vocabolario evangelico se non come termine da cui prendere le distanze.

Ad esempio, nel Dizionario di teologia evangelica (2007) non c’è la voce “Mistica”, ma c’è la voce “Misticismo” che è già connotata in modo valutativo (-ismo), cioè negativo. Non è un caso fortuito o una svista, ma la spia di una (mancanza di) sensibilità nei confronti della mistica o di un giudizio teologico. E’ un silenzio eloquente.

Semmai, nel linguaggio evangelico, ci sono altre voci che concorrono a indicare una sensibilità verso il tema della mistica: spiritualità, soprannaturale, doni dello Spirito, risveglio, ecc. Lutero si oppose agli Schwermerei, gli illuminati che rivendicavano la guida diretta di Dio. Anche Calvino ebbe come fronte controversistico gli illuminati che contestavano l’oggettività della dottrina biblica privilegiando la rivelazione individuale. Vero è che, in anni recenti, alcuni studi stanno mettendo in risalto una dimensione che potrebbe essere definita “mistica” in Lutero (si veda Lutero e la mistica, a cura di F. Buzzi, D. Kampen, P. Ricca, Torino, Claudiana 2014), ma ciò non toglie che la mistica appartenga ad un universo distante dalla sensibilità evangelica.

Anche per questo ho assistito alla presentazione del volume di Max Huot de Longchamp (con Antonino Raspanti), Cos’è la mistica, Roma, Città Nuova 2021 tenuta al Collegio Capranica di Roma il 25 novembre u.s. Il volume è composto di due parti. Nella prima, l’autore introduce al significato della mistica (cattolica) intesa come “percezione particolarmente lucida del mistero di Dio”. Nella seconda riproduce una piccola antologia di testi mistici provenienti dalla tradizione cattolico romana. 

A presentare il libro sono stati Felice Cimatti, filosofo del linguaggio all’Università della Calabria e conduttore di “Uomini e profeti” (Radio Rai 3), e Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vice-presidente della CEI. Cimatti ha parlato della mistica in ottica fenomenologica come fenomeno umano traversale a tutte le tradizioni religiose e non. La mistica è vivere sul crinale tra l’essere dentro/fuori dal mondo, facendo esperienza di totalità a partire da un condizione situata. Il vescovo Raspanti ha definito la mistica una “sporgenza” oltre il nominabile che risulta dall’essere incontrato da Dio. Come si vede, né nel primo né nel secondo caso, il fenomeno mistico è stato affrontato a partire dai criteri della Sacra Scrittura, ma da considerazioni fenomenologiche o intersoggettive. 

Nell’ascoltare queste dotte relazioni sulla mistica, mi è venuto in mente un classico della spiritualità evangelica di tutti i secoli: il volume scritto nel 1746 da Jonathan Edwards I sentimenti religiosi (1746), Caltanissetta, Alfa & Omega 2003. In questo libro Edwards introduceva il suo discorso con la domanda: “Non esiste domanda di maggiore rilevanza per l’umanità, alla quale ciascuno deve poter dare una risposta precisa, di questa: quali sono le caratteristiche che distinguono coloro che si trovano in uno stato di grazia nei confronti di Dio e che attendono la sua eterna ricompensa? Ovvero, che poi è la stessa cosa: qual è la natura della vera religione?”. 

Negli anni immediatamente precedenti alla pubblicazione, il ministero di Edwards era stato benedetto con una grandiosa stagione di risvegli che aveva messo a soqquadro la città di Northampton e i cui effetti si stavano rapidamente estendendo altrove. Il risveglio aveva alimentato un grande fervore religioso da parte di molti e Edwards, da buon pastore-teologo, osservò i comportamenti, gli atteggiamenti e i frutti del risveglio nella vita delle persone. Le manifestazioni erano varie e anche eclatanti, ma c’era un criterio biblico per valutarne l’autenticità spirituale? 

Rifacendosi alla Scrittura, Edwards era convinto che non tutte le manifestazioni di fervore religioso fossero un segno affidabile di un’opera di Dio. Si possono verificare dei segni che non necessariamente indicano l’azione di un vero risveglio da parte dello Spirito di Dio. Lo zelo, le visioni, le esperienze estatiche, di per sé, non sono una garanzia di spiritualità cristiana, così come non lo sono le manifestazioni fisiche ed esteriori, la moltitudine di parole religiose che si usano, il tempo che si dedica ai doveri religiosi, ecc. Oltre a mettere in guardia dai segni inaffidabili, Edwards, partendo sempre dalla Bibbia, presenta i segni affidabili che testimoniano la genuinità di un’opera divina nella vita di una persona. 

In questa opera fondamentale per elaborare una teologia del discernimento cristiano, Edwards sostiene che non è l’esperienza, né la fenomenologia che possono giudicare la qualità dell’esperienza cristiana, ma è la Scrittura che può e deve farlo. La mistica, per quanta fascinazione possa esercitare, non fa eccezione. 


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