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Moriremo marxisti? (IV). L’emergere della “teoria critica”

Il marxismo culturale contemporaneo ha una parentela molto alla lontana col pensiero di Karl Marx. L’affinità è più emotiva che propriamente filosofica. Molta acqua è passata sotto i ponti dei fiumi europei e mondiali che ha fatto evolvere e sviluppare – a volte contestare – le tesi marxiane. Già Gramsci all’inizio del Novecento aveva spostato il centro dell’attenzione dalle questioni economiche a quelle culturali determinando una svolta concettuale. Un ulteriore e decisivo contributo è venuto dalla Scuola di Francoforte. Intorno a questo istituto di ricerca sociale della città tedesca, tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, hanno operato sociologi e filosofi come György Lukacs, Max Horkheimer, Theodore Adorno e Herbert Marcuse. Questo think tank ha elaborato quella che poi è stata chiamata la “teoria critica”, una forma di analisi primariamente decostruttiva volta a smantellare le fondazioni corrotte e la natura oppressiva della società capitalista. 

Come Gramsci, anche i francofortesi erano convinti che la liberazione umana avesse come principale ostacolo l’ideologia capitalista iscritta dentro la cultura tradizionale che doveva, pertanto, essere demolita. Riprendendo anche suggestioni provenienti dalla psicanalisi di Freud, Lukacs introdusse il pensiero che, per raggiungere questo obbiettivo, l’etica sessuale giudeo-cristiana e l’istituzione della famiglia dovessero essere aggredite con programmi di educazione sessuale nelle scuole. Lo scopo sarebbe stato di smontare i codici sessuali e familiari della cultura tradizionale e di liberare il piacere. Eric Fromm sostenne che la sessualità fosse una costruzione sociale, incoraggiando al contempo la sperimentazione sessuale e la pratica omosessuale. Con Lukacs e Fromm, la corrente neo-marxista introdusse il tema della sessualità nella propria analisi, includendo la sessualità (e non più solo la classe sociale) come fronte su cui perorare la causa della liberazione. 

Adorno invece sottolineò come la società capitalista, con il suo intreccio di occidentalismo, conservatorismo, famiglia patriarcale e repressione sessuale, fosse intrinsecamente autoritaria. Secondo lui, la cultura di massa consumistica spingeva al conformismo e all’accettazione passiva dello status quo capitalista. Fu Herbert Marcuse a unire tutti questi fili marxisti, freudiani e critici in una miscela dirompente. Il suo libro Eros e civiltà (1955) divenne una sorta di lettura obbligata degli Anni Sessanta: per contrastare l’umanità “a una dimensione” (quella della società capitalista), Marcuse insistette sulla necessità di liberare la “perversità polimorfa” del piacere erotico. Anche lui si scagliò contro la famiglia monogamica e propugnò la causa della liberazione omosessuale. Suggerì anche una ridefinizione della tolleranza come intolleranza verso le destre conservatrici e tolleranza verso i movimenti progressisti e rivoluzionari. In questa accezione di tolleranza, chi si sarebbe opposto alla “liberazione” avrebbe dovuto essere ostracizzato. L’idea di fondo rimaneva la disintegrazione del sistema della cultura capitalista. Non a caso Marcuse è stato definito “il guru della nuova sinistra”.

La “teoria critica” è quindi un impasto di molti ingredienti. Alla lettura marxiana dell’oppressione e della rivoluzione, aggiunge la lezione gramsciana dell’egemonia culturale e quella freudiana della liberazione sessuale per arrivare ad una critica radicale delle strutture culturali e istituzionali della società occidentale: capitalista, borghese, cristiana. Secondo la teoria critica, essa disumanizza, opprime e impone una forma autoritaria di potere. Mentre la teoria tradizionale cercava di spiegare la realtà, quella critica vuole smantellarla. E’ un esercizio primariamente decostruttivo, mentre all’orizzonte rimane una visione utopica. Alla società capitalista sono messi in conto le oppressioni del razzismo, della schiavitù, della divisioni in classi, del sessismo, del consumismo, ecc. Lo smantellamento avrebbe dovuto riguardare le strutture etiche, la famiglia, la tradizione, i freni sessuali, i diritti di proprietà, il capitalismo, la tecnologia, ecc. La “teoria critica” è attraversata da un mix di pessimismo e di utopismo, ma anche di violenta opposizione a tutto ciò che contrasta con il suo programma demolitorio. Francis Schaeffer, il grande apologeta evangelico della seconda metà del Novecento, nella sua analisi dei movimenti intellettuali e artistici degli Anni Sessanta e Settanta, riconobbe nell’impasto di quegli anni una “linea della disperazione” che avrebbe comportato una fuga dalla ragione.[1]

Con la diffusione delle idee della “teoria critica”, il neo-marxismo ha fornito alla sinistra radicale il codice culturale del “politicamente corretto”, dell’intolleranza della tolleranza (per mutuare il titolo di un libro di Don Carson),[2]dell’erotismo libertario, dell’idea della costruzione sociale della sessualità e della cultura del vittimismo: tutti temi che stanno al centro di ancor più recenti sviluppi come l’intersezionalità e la teoria critica della razza (critical race theory). (continua)

(puntate precedenti: “La galassia neo-marxista”, 9 giugno 2021; “Il capitale: brevissime istruzioni per l’uso”, 15 giugno 2021; “Gramsci e la lotta per l’egemonia culturale”, 18 giugno 2021)

[1] Francis Schaeffer, Fuga dalla ragione (orig. 1968), Roma, GBU 1969. Sulla “nuova sinistra” ispirata da Marcuse, di Schaeffer si veda anche A Christian Manifesto, Westchester, Crossway 1981, pp. 75-76.

[2] Don Carson, The Intolerance of Tolerance, Grand Rapids, Eerdmans 2013. 


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