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“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (II). Risonanze bibliche e non solo nell’Inferno

La Commedia è un viaggio nei regni dell’aldilà. Dante immagina il mondo oltre la morte e, per farlo, attinge a fonti classiche e bibliche in un’originale mescolanza di ambientazioni ed incontri. Del Purgatorio, luogo associato ad una dottrina tipicamente medievale e sommamente cattolica romana, parleremo altrove; il viaggio dantesco parte dall’Inferno che è uno spazio biblicamente attestato anche se lui lo immagina come una voragine a forma di cono rovesciato, forma che non ha un’origine biblica.

Nel primo canto dell’Inferno, Virgilio spiega a Dante che, usciti dalla selva oscura, non si può salire sulla collina della felicità se non facendo un altro percorso attraverso i regni dell’aldilà. Esso è stato precluso agli esseri umani, salvo che a Enea (nell’Eneide) e a Paolo (secondo un’interpretazione di 2 Corinzi 12,2-4 che in realtà non parla dell’inferno ma del cielo). In questa duplice ispirazione (classica e biblica) si ritrovano le fonti del pensiero dantesco: da un lato l’eredità classica, dall’altra quella biblica interpretata secondo i canoni del cristianesimo medievale. Dante non si sente degno di ripercorrere le orme di questi grandi personaggi del passato e obbietta dicendo: “Io non Enëa, io non Paulo sono” (Inferno II,32). Nell’avanzare perplessità sulla sua capacità di affrontare il viaggio, Dante echeggia il dubbio che fu di Mosé quando disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone?” (Esodo 3,11).

L’Inferno di Dante è preceduto dal limbo, luogo non attestato nei vangeli canonici, ma nell’apocrifo Vangelo di Nicodemo. In questo luogo che non è infernale e nemmeno paradisiaco, incontra i non cristiani virtuosi vissuti prima del cristianesimo. Lì trova una sfilza di personaggi biblici dell’Antico Testamento: Adamo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, Davide, Giacobbe e altri ancora. Qui Dante, pur dando sfoggio di grande familiarità col testo biblico, si discosta sostanzialmente dalla Bibbia che invece considera questi credenti prima di Cristo come appartenenti alla grande schiera di testimoni (Ebrei 12) e quindi destinati al Paradiso. Un’interpretazione sacramentale del battesimo come necessario alla salvezza (e che questi credenti dell’AT non hanno ricevuto) fa sì che Dante pensi che i santi del’AT non siano veramente salvati. Questa teologia è fuori dall’insegnamento biblico e sta dentro il cattolicesimo medievale. 

Entrando nell’Inferno, Dante sfoggia un’immaginazione poetica intrisa di tanti elementi biblici. Al canto XIX incontra i “simoniaci”, uomini di chiesa di chiesa (tra cui papa Niccolò III) che prendono il nome da Simone il mago il quale voleva comprare la potenza di Dio col denaro (Atti 8,20-21). La chiesa simoniaca è vista da Dante come “puttaneggiar coi regi” (XIX,108) evocando l’immagine della “meretrice” di Apocalisse 17,1-8. Il poeta mostra di essere intriso di cattolicesimo nella sua visione teologica, ma è al contempo molto “libero” di criticare l’istituzione ecclesiastica che si è macchiata di gravi compromessi.

Proseguendo nel suo viaggio all’Inferno, Dante incontra altri personaggi biblici, quali Caiafa (XXXIII,109-126), il sommo sacerdote che condannò Gesù. Al canto XXXIV c’è Lucifero che tiene in bocca Giuda il traditore di Gesù. Le pene che Dante assegna a ciascuna persona sono una parodia del suo peccato e la loro esecuzione si avvale della tecnica del contrappasso: quello che hanno causato in vita coi loro peccati, ora ricevono in contraccambio nella loro esistenza infernale. Così facendo, Dante descrive con un’intensità poetica straordinaria la tragedia della reprobazione e le sofferenze delle pene dell’inferno.

Tirando le somme, la punizione dell’inferno sembra essere una retribuzione delle opere malvagie commesse in vita e proporzionale alla gravità delle stesse. Pur Dante parlando di grazia divina, la associa alla grazia sacramentale e la diluisce in un’accezione della vita cristiana ancora incrostata di un vangelo delle opere. Lontano è l’evangelo biblico della grazia ricevuta da Cristo soltanto per fede soltanto che fu predicata da Paolo e che sarebbe stato riscoperto in modo pieno dalla Riforma protestante tre secoli dopo Dante.

Il primo articolo della serie:

“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (II). Richiami biblici all’inizio della Commedia di Dante

(continua)


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