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“Nel mezzo del cammin di nostra vita …” (III). Cosa c’entra il Purgatorio con la Bibbia?

La seconda cantica della Commedia è il Purgatorio. Attraverso la poesia di Dante questo luogo (che è  frutto dell’immaginario religioso cattolico) ha assunto una veste letteraria universalmente riconosciuta. Il Purgatorio è figlio della teologia medievale che ha “rotto” con la visione biblica dell’aldilà, ha aggiunto uno stato a quello della benedizione del paradiso per i credenti e quello della reprobazione dell’inferno per i non credenti, e l’ha adattata all’esigenza di avere un luogo “intermedio” tra Inferno e Paradiso. Per lo storico Jacques Le Goff, il Purgatorio di Dante è una “via di mezzo posta a distanza ineguale tra i due estremi, che protende verso il Paradiso” (La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi 1982, p. 401). 

Nella concezione prevalente del Medioevo (e che Dante fa sua nella Commedia), la salvezza non è un dono che si riceve per fede soltanto e grazie al quale si è dichiarati giusti per i meriti di Gesù Cristo. La salvezza per Dante è un percorso di purificazione continua che, una volta esaurita la vita terrena, prosegue nel Purgatorio per poi arrivare finalmente al Paradiso, una volta compiutosi. Tranne che per i santi (gli eroi della fede), per i cristiani “normali” la salvezza è sempre “incompiuta”. Come i lettori della Bibbia sanno, l’evangelo di Gesù Cristo conferisce al credente una certezza non frutto di arroganza personale, ma figlia della compiutezza dell’opera del Salvatore ricevuta per fede. Evidentemente, con la sua visione del Purgatorio, Dante non conosce i benefici della giustificazione per fede soltanto basata sull’opera di Cristo soltanto: per questo deve prevedere una “via di mezzo” ultraterrena in cui far transitare i cristiani affinché siano purificati. Per Dante, la salvezza è una montagna da scalare dal basso in un’ottica di progressiva santificazione, non una dichiarazione divina sul peccatore penitente che lo riveste della giustizia di Gesù Cristo. 

Una delle metafore bibliche che Dante usa nel Purgatorio per descrivere la vita cristiana è quella dell’esodo: la vita è una schiavitù da cui ci si viene emancipati tramite un viaggio di purificazione. Per sottolineare il parallelismo tra la vita e l’esodo, non a caso le anime destinate al Purgatorio cantano il Salmo 114,1 “Quando Israele uscì dall’Egitto” (PurgatorioII,46-48), evocando l’idea che la vita è un viaggio di ritorno a Dio e che gli esseri umani sono pellegrini (II,63). Anche in questo caso, Dante mescola elementi biblici con temi e traiettorie presenti nel cristianesimo medievale. Essi sono più dipendenti dalla teologia del tempo basata su una concezione della salvezza per opere e tramite penitenze che dal messaggio biblico incentrato sulla perfetta giustizia di Cristo donata al peccatore credente.  

Il Purgatorio dantesco ha una forma di montagna suddivisa in sette terrazze o cornici. In ciascuna di esse le anime sono purgate da uno dei sette vizi capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria. Solo dopo essersi purificate, esse saranno ammesse in paradiso. In questo cammino di purificazione, oltre ad abbandonare i vizi, le anime dovranno abbracciare le virtù cristiane che Dante identifica nelle beatitudini contenute nel Discorso della montagna (Matteo 5,1-12): umiltà, amore misericordioso, mansuetudine, sollecitudine, distacco dai beni terreni, temperanza e castità. Per Dante, ognuna di queste virtù cristiane trova la sua suprema realizzazione in Maria. Gli episodi evangelici della sua vita sono considerati illustrazioni delle virtù di Maria che le anime devono apprendere. Maria è “umile e alta più che creatura” (XXXIII,2). Anche in questo caso, in linea con la mariologia cattolica del Medioevo, Maria è considerata come “più che creatura”, dotata del livello più alto delle virtù cristiane e modello per eccellenza di vita cristiana. Vero è che Dante richiama anche altri personaggi biblici come, ad esempio, il re Davide (umiltà), Stefano (mansuetudine), Daniele e Giovanni Battista (temperanza). Maria, tuttavia, supera tutti in quanto incarna in modo eminente le virtù/beatitudini che Gesù Cristo ha proclamato nel Discorso della montagna.   

Anche in questa pervasiva mariologia, Dante è più figlio spirituale e culturale del suo tempo che credente la cui fede è plasmata dalla Bibbia. 

Articoli precedenti della serie: 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (I). Richiami biblici all’inizio della Commedia di Dante
“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (II). Risonanze bibliche e non solo nell’Inferno

 (continua)


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