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Non per potenza, né per forza: Paolo Rossi il campione “normale”

Dopo Maradona, se ne è andato Paolo Rossi, un altro grande calciatore. Esplose ai Mondiali del 1982 in Spagna. Con 6 goal (tre al Brasile, due alla Polonia e uno alla Germania in finale), contribuì in modo determinante a far vincere quel campionato all’Italia. Non fu un fuoco di paglia. Come aveva fatto prima del Mondiale, Rossi continuò a segnare molti goal e a far vincere le sue squadre anche dopo il 1982. 

Paolo Rossi era un giocatore che non impressionava per doti atletiche: non aveva un tiro potente (al contrario di Gigi Riva e Boninsegna), non aveva un colpo di testa svettante (al contrario di Bettega e Altobelli), non aveva un fisico imponente (al contrario di Pulici e Rumenigge), non era particolarmente veloce (al contrario di Boniek). Era un giocatore “normale”, anzi apparentemente fragile e non impressionante. 

Si può dire che la sua qualità migliore sia stata tattica più che tecnica. Rossi sapeva essere al posto giusto al momento giusto. Molti suoi goal possono sembrare fortuiti, occasionali, “di rapina”, quasi realizzati per caso e non come risultato di azioni travolgenti. In realtà, lui sapeva essere nel punto giusto al tempo giusto. La sua qualità non era nel gesto atletico strappa-applausi, ma nel posizionamento decisivo e nell’abilità di sfruttarlo al meglio.

Più che eccellere in doti naturali, lui era al posto giusto al momento giusto. Questo è uno spunto che può essere letto anche in chiave spirituale. Sembra riflettere anche un modo in cui Dio si serve di persone diverse per compiere il suo piano. Certamente Dio dota alcune persone di qualità umanamente eccellenti: si pensi alla voce di Spurgeon, alla mente di Edwards, all’energia di Calvino. Si pensi alla resistenza di Corrie ten Boom, alla creatività di Annie Vallotton, alla poetica di Olimpia Morato. Questi sono doni “eccezionali”, dotazioni divine fuori dal normale che vengono impiegate per l’estensione del suo regno.

La maggior parte di noi, tuttavia, ha ricevuto dal Signore un corredo “normale”, ordinario. Niente di speciale, molto di comune. Abilità normali, doni ordinari, vite “da non attirare gli sguardi” per le loro prestazioni. Come Dio compie il suo piano tramite gli “eroi” della fede, lo porta avanti anche tramite le persone comuni come noi. L’importante è che queste siano al posto giusto al momento giusto, cioè pienamente impegnati nella vocazione che hanno ricevuto, al servizio della chiesa cui appartengono, dedicati alle mansioni che sono state loro assegnate, desiderosi di crescere e di “giocare” per la squadra. Si può essere “campioni” anche così.

Non tutti i predicatori sono come Giovanni Crisostomo, ma tutti quelli che sono chiamati al ministero pastorale possono essere fedeli nell’amministrare la Parola. Non tutti gli evangelisti sono come Billy Graham, ma tutti possiamo e dobbiamo testimoniare la nostra fede dove Dio ci ha collocato. Non tutti avremo la fibra di Katarina von Bora, ma tutti dobbiamo maturare e resistere nelle prove che Dio permette. 

Nel popolo di Dio, ci sono più “paolorossi” che “diegoarmandomaradona”, più donne e uomini comuni che fuoriclasse. L’importante è che siamo al posto giusto al momento giusto. Da solo Paolo Rossi non poteva far vincere la squadra perché non era veloce abbastanza, potente abbastanza, resistente abbastanza per andare in goal da solo. Però era là davanti, dove doveva stare, punta avanzata di una squadra, per cogliere l’opportunità che sarebbe arrivata e trasformarla in goal. Lui è diventato “campione” pur avendo un fisico normale. Anche noi possiamo vincere la partita se abbiamo un concetto sobrio di noi stessi, siamo ben inseriti nella squadra e stiamo con convinzione e passione dove Dio ci ha chiamati a servire.


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