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Oltre lo stato d’emergenza (III). De-zoomizzare la vita della chiesa?

Impossibilitati ad uscire di casa, durante l’emergenza della pandemia abbiamo tutti fatto conoscenza di Zoom. Prima era una parola che solo i praticoni di fotografia sapevano cosa fosse: lo zoom della macchina fotografica da aprire o chiudere a seconda del campo visivo voluto. Poi tutti (o quasi) hanno scoperto un mondo chiamato Zoom. Di facile accesso e di intuitivo utilizzo (anche per i non nativi digitali), Zoom è diventato la stanza virtuale dove incontrarsi, parlare, vedere le persone, anche se a distanza.

Il lavoro da remoto è diventato una catena infinita di chiamate su zoom. Gli incontri di associazioni e condomini sono finiti su zoom. Le conferenze e i dibattiti sono stati tenuti su zoom. La didattica della scuola è andata in DAD. Anche le sessioni di gioco e di svago hanno usufruito di zoom. Tutto il mondo è diventato (quasi) un grande spazio zoom. 

Le chiese evangeliche non hanno fatto eccezione. Non potendo tenere i culti di presenza hanno trovato in zoom un’alternativa che consentisse di mantenere una “parvenza” di regolarità nelle attività. Incontri di preghiera, culti, riunioni di studio biblico, ma anche assemblee di membri e iniziative varie sono transitate su zoom. Questa è diventata la nuova sala di culto, il nuovo locale di ritrovo, lo spazio virtuale della comunione fraterna e delle relazioni dentro la chiesa.

Ci sono stati gli entusiasti di zoom che hanno pensato subito in termini “missionari” moltiplicando gli incontri di ogni tipo e tessendo le lodi di questa nuova opportunità. Gli scettici hanno provato a resistere salvo poi adeguarsi inesorabilmente. Zoom ha generato anche una diversa modalità di partecipazione scomponibile o à la carte: si poteva spegnere il video e attivare l’audio, si poteva accendere il video, ma rimanere silenti, si poteva partecipare in modalità distratta (facendo anche altro), si poteva andare e venire a piacimento, rimanere in pigiama, mangiando, continuando a controllare il cellulare, ecc. Zoom rendeva possibile tutto questo.

Quando il lockdown era rigoroso, non c’erano alternative a zoom. Poi è iniziata la fase ibrida: i locali di culto sono stati riaperti, con alcuni accorgimenti e restrizioni. Molte chiese hanno allora inaugurato un regime “misto”: un po’ di presenza, un po’ zoom. Alcuni, tuttavia, hanno registrato fenomeni di disaffezione verso il ritorno alla normalità di presenza. Zoom aveva creato un contesto difficile da lasciare, forse perché più comodo, meno impegnativo, più fluido, meno esigente, più protetto, meno rischioso. 

Ora che lo stato di emergenza è finito e che i culti e le riunioni hanno solo pochi accorgimenti da seguire per affrontare la coda della pandemia, ci sarà la verifica finale sul costo finale che zoom ci farà pagare come chiese locali. Da un lato, è stato un facilitatore di relazioni a distanza in tempi di chiusura, ma dall’altro può diventare un inibitore di discepolato ecclesiale in tempi più normali. Ora che ci si può incontrare liberamente, occorrerà fare un investimento verso una graduale ed intenzionale de-zoomizzazione della vita della chiesa? Per la chiesa locale, si dovrà ripristinare la modalità di presenza e di persona non solo come via preferenziale, ma come via ordinaria in cui incontrarsi, cantare, pregare, ascoltare la Parola, ubbidire agli ordinamenti, ecc., senza prevedere possibilità di scelta da parte dei singoli? 

Questo è un tema che le chiese devono affrontare. In gioco non è tanto una questione organizzativa, ma una scelta di tipo ecclesiologico. La chiesa locale riunita è una comunità di persone (corpo e anima) o un insieme virtuale di riquadri e nickname? Le forme della vita della chiesa sono a discrezione degli individui o sono modellate su pratiche comuni che si imparano tutti insieme? La vita della chiesa è un menù di ristorante da cui scegliere il piatto preferito nella presentazione gradita a ciascuno o un menù possibilmente ricco e variegato per tutti i commensali?

La zoomizzazione di ieri e la de-zoomizzazione possibile di oggi sono entrambe questioni ecclesiologiche. Tra fare un click per connettersi e incontrarsi di persona c’è di mezzo la visione di chiesa che interpretiamo. 

(continua)

Altri articoli della serie:
“Oltre lo stato d’emergenza (I). Sempre fedeli, mai soli” (1/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (II). Finirà l’interventismo dello Stato?” (5/4/2022)


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