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Oltre lo stato di emergenza (IV). Imparare a ri-mostrare i volti

Con la fine dello stato di emergenza, si avvicina, anche il momento in cui potremo definitivamente abbandonare l’uso delle mascherine. Fino a gennaio del 2020, questo presidio non era affatto un oggetto di uso comune. Relegato solo agli ambienti ospedalieri e ad attività particolari, non faceva parte delle nostre vite. Immaginare un mondo in cui i volti sarebbero stati per metà coperti in ogni attività interpersonale sembrava surreale. Con l’arrivo della pandemia invece la mascherina è diventata l’oggetto imprescindibile, il passepartout per poter accedere alla vita pubblica, anche solo per uscire dal portone di casa. 

In due anni abbiamo imparato a tenere quest’oggetto sempre con noi e, in qualche modo, la mascherina ha cambiato le relazioni. Abbiamo cominciato a sentire come una minaccia persone intorno a noi senza mascherina e sentirci protetti solo se barricati dietro questa protezione. Insieme alle mascherine abbiamo anche cominciato a vivere gli spazi in modo diverso. Il distanziamento forzato ha cambiato la percezione del bisogno dello spazio privato. Le distanze fisiche tra persone si sono allargate. Abbiamo cominciato a reputare normale avere conversazioni ad un metro di distanza o ad essere seduti in chiesa, e non solo, con le sedie intorno a noi vuote o spostate. 

Insomma, in due anni la percezione del nostro corpo, della presenza fisica degli altri e del contatto sono cambiati. Forse non sappiamo ancora bene come. Facendo una piccola ricerca le teorie risultano contrastanti. Qualcuno parla di limitazione della comunicazione poiché è venuta a mancare tutta l’importantissima parte della comunicazione non verbale del volto. Altri parlano della sicurezza che alcuni hanno acquisito potendo nascondere metà del viso. Probabilmente non siamo ancora in grado di avere contezza di come queste cose ci abbiano condizionato a lungo termine, ma sicuramente la chiesa non può essere indifferente anche a questo aspetto. 

Come esseri creati ad immagine del Dio uno e trino, l’aspetto relazionale sta alla base dei rapporti tra esseri creati. Nella sua sovranità al Signore è piaciuto crearci con corpi fatti di carne e ossa ed anche la corporalità rientra nei suoi piani per la relazionalità. Dopo questi due anni di limitazioni, non possiamo che ringraziare per quanto fino ad ora davamo per scontato. Corpi e visi che possono esprimersi e comunicare, mostrare prossimità e vicinanza. 

Anche se Dio non è visibile, nella Bibbia la metafora del suo volto indica una finestra sulla sua persona. Nella preghiera di benedizione di chiede al Signore di mostrare il suo volto (Numeri 6,25). Come Dio dell’alleanza, Lui si è rivelato faccia a faccia (Deuteronomio 5,4). Nei Salmi spesso si chiede al Signore di far risplendere su di noi la luce del suo volto (es. Salmo 67). Con la venuta del Figlio di Dio, la gloria del Padre risplende nel volto di Gesù Cristo (2 Corinzi 4,6). Ora vediamo tutto ciò solo in parte, ma un giorno lo vedremo faccia a faccia (1 Corinzi 13,12). Insomma, la teologia del volto di Dio mostra come nascondere il volto sia un atto di sottrazione mentre mostrare il volto sia un momento di rivelazione.

Ora che l’emergenza è finita, sarà doveroso reimparare a stringersi la mano, a guardarsi in volto e a non pensare di potersi nascondere dietro una mascherina. Se nelle nostre chiese abbiamo usato mascherine e distanziamento come scusa per chiuderci in noi stessi, allontanarci, evitare di condividere con sorelle e fratelli quanto stavamo vivendo, è tempo di ripensare e rivalutare questi aspetti. Abbassare le mascherine sarà allora l’occasione per ringraziare per la sapienza del Creatore ed anche per abbassare eventuali muri che abbiamo pensato di poter innalzare con chi ci stava intorno. Dopo l’emergenza, guardarsi in volto è un dono di Dio da riassaporare.

(continua)

Altri articoli della serie:
“Oltre lo stato d’emergenza (I). Sempre fedeli, mai soli” (1/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (II). Finirà l’interventismo dello Stato?” (5/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (III). De-zoomizzare la vita della chiesa?” (7/4/2022)


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