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Pietro Martire Vermigli e i doni dello Spirito Santo

Pietro Martire Vermigli (1499-1562) è una delle più importanti figure della Riforma protestante italiana per acume teologico ed esegetico. Già nel 1999, in occasione del centenario della sua nascita, uscirono contributi significativi per riscoprire questo gigante della fede evangelica. Ad esempio, “Pietro Martire Vermigli (1499-1562), Studi di teologia N. 21 (1999) e Pietro Martire Vermigli. Umanista, riformatore, pastore, a cura di A. Oliveri e P. Bolognesi, Roma, Herder 2003. 

Il libro di Vermigli I doni dello Spirito Santo. Un commentario esegetico, teologico e pratico su 1 Corinzi 12-14, Mantova, Passaggio 2020, non fa che confermare questa realtà. Si tratta di un’accurata traduzione del commento di Vermigli alla prima epistola ai Corinzi (capp. 12-14), epistola che Vermigli insegnò nel suo primo anno ad Oxford (1551) come titolare della cattedra di teologia all’università. L’occasione di parlarne è stata data da “Libri per Roma”, un’iniziativa culturale dell’Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione, che si è tenuta sabato 12 aprile u.s.

Questo libro, come evidenziato dal suo sottotitolo, è prima di tutto un commentario esegetico, poi teologico e infine pratico. E Vermigli dimostra di essere un fedele insegnante delle Sacre Scritture in tutti e tre gli aspetti. Il libro si divide in 3 sezioni principali, seguendo i capitoli presi in esame. Dei tre capitoli, il 13 è quello che certamente riceve meno spazio (circa 40 pagine rispetto alle 70 pagine riservate agli altri capitoli), ma non per questo non riceve il giusto trattamento e la necessaria attenzione.

Secondo Vermigli, la tesi principale presentata da Paolo nel capitolo 12 è che i doni sono dati dallo Spirito Santo per accrescerne l’unità (22), ma nella chiesa di Corinto, a motivo delle invidie e delle gelosie, l’esatto opposto si era avverato. Per questo motivo dopo aver spiegato che i doni non vanno abusati come doni proveniente da Dio (23), Paolo ne discute lo scopo: l’armonia e l’edificazione altrui (41). La prima sezione si conclude discutendo come ogni membro, avendo ricevuto un dono specifico ed unico dallo Spirito, è utile per l’unità e l’edificazione della chiesa: nella diversità dei membri e dei doni si trova la vera unità della chiesa (64).

La seconda sezione mostra come i doni vadano utilizzati nella sfera dell’amore e come l’amore sia da considerare maggiore dei vari doni perché, mentre i doni termineranno quando giungerà la perfezione, l’amore continuerà e non verrà mai meno. Per Vermigli, non sono i doni, ma l’amore ciò che definisce il vero credente (97) ed è perciò impensabile che esistano credenti che esercitano i loro doni senza l’amore di Cristo (103). Ma l’amore di cui parla Vermigli non è l’amore tollerante e permissivista di oggi, ma è un amore che è ancorato nella verità di Dio (116). I credenti devono perciò riconoscere che i loro doni sono per l’edificazione della chiesa ma devono sempre tenere a mente che l’amore è ciò che continuerà in eterno (121, 140).

La terza ed ultima sezione del libro si sofferma su due principi chiave che devono governare l’uso dei doni nella chiesa: l’edificazione e l’ordine. In modo particolare, vista la situazione della chiesa di Corinto, Paolo si sofferma sul dono delle lingue e sul dono di profezia. Mentre i Corinzi erano affascinati dal primo, Paolo afferma come sia il secondo dono che devono ricercare. Per Vermigli la profezia “non deve essere intesa semplicemente come la capacità di predire eventi futuri, poiché Paolo attribuisce alla profezia la comunicazione di edificazione, esortazione e consolazione” (149). Così Vermigli dimostra che la supremazia è superiore alle lingue perché edifica la chiesa e perché ha un ruolo più durevole delle lingue (157, 171). Le lingue infatti, se non interpretate, non possono edificare e non possono istruire la mente né di chi parla né di chi ascolta. Vermigli elabora così il principio secondo cui i doni vanno sempre utilizzati in maniera intellegibile, ciò con piena coscienza di mente (174). Il secondo principio, l’ordine nella chiesa, è riconducibile al comando di Paolo di limitare l’uso delle lingue nell’adunanza (197), al giudizio che la chiesa deve esercitare sulle parole profetiche pronunciate (199) e al comando alle donne di imparare in silenzio (211).

Questo commentario di Vermigli è sicuramente una grande benedizione per la chiesa italiana ed uno strumento utilissimo per comprendere un argomento come quello dei doni nella chiesa purtroppo mai compreso appieno e troppo spesso male interpretato. Vermigli, oltre a dimostrare un grande acume esegetico e teologico, ha il beneficio di introdurre il lettore agli scritti dei padri della chiesa (in particolare Crisostomo ed Agostino) in modo che possiamo riscoprire la ricchezza teologica della chiesa primitiva.

Vermigli ha anche il pregio di ricordarci l’importanza di interpretare correttamente il testo prima di applicarlo alla nostra situazione odierna. Le sue applicazioni sulla situazione storica e sociale durante il periodo della Riforma seguono sempre infatti l’esegesi e sono sempre dipendenti da essa. In ultimo, Vermigli dimostra di essere un fermo sostenitore dei 5 sola della Riforma e della teologia riformata derivante da essa mostrando come queste realtà siano ancorate nel testo biblico.

I doni dello Spirito è un libro da studio, ma è vivamente consigliato non solo a chi si propone di insegnare tale argomento alla chiesa ma anche a chi vuole comprendere in maniera più chiara il motivo per cui Dio ha dato dei doni alla chiesa e come essi vadano utilizzati per l’edificazione della chiesa stessa.


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