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Pomponio de Algerio (1531-1556): lo studente che sfidò il papa

[Questo articolo è stato già pubblicato il 22 ottobre 2020. In occasione del periodo estivo, la redazione di Loci Communes ha scelto di ripubblicare articoli che ritiene rilevanti, alternandoli a nuovi. Buona lettura!]

Tra le molteplici personalità protestanti condannate dalla chiesa cattolica nel corso del XVI secolo emerge la figura di Pomponio de Algerio (1531-1556), uno studente ventiquattrenne originario di Nola ed iscritto all’Università di Padova, immerso in una pentola di olio, pece e trementina bollente sotto il pontificato di papa Paolo IV (1476-1559). Umberto Vincenti, giurista e professore ordinario nell’Università di Padova, ne parla dettagliatamente nel suo libro fresco di stampa: Lo studente che sfidò il Papa. Inquisizione e supplizio di Pomponio de Algerio, Bari-Roma, Editori Laterza 2020L’A. ripercorre le diverse fasi della travagliata vicenda partendo dall’arresto avvenuto a Padova, all’epoca promotrice del libero pensiero e costretta a consegnare il ragazzo per ordine del papa, fino a descrivere il giorno del supplizio avvenuto a Piazza Navona il 19 agosto 1556. 

Nel rendere possibile questa biografia, l’A. si è avvalso dell’uso di diverse fonti primarie tra cui gli atti processuali e le lettere mandate da Pomponio agli amici durante la sua prima prigionia. Nella seconda lettera, egli scrisse per filo e per segno, su loro richiesta, il processo padovano (il primo e unico a nostra disposizione), definendolo la sua “confessione di fede” (p. 149). È attraverso questo prezioso documento che emerge la straordinaria personalità di Pomponio. Egli dimostrò di avere una fede saldamente ancorata alle verità bibliche e in grado di rendere conto della speranza che era in lui (1 Pietro 3,15). Difatti, la sua conoscenza biblica era corredata da un accurato sapere teologico sulle tematiche centrali delle controversie tra cattolici e protestanti, quali l’autorità papale, le buone opere, i sacramenti e l’intercessione dei santi. Egli rispose alle domande degli inquisitori citando a memoria capitoli biblici e utilizzò il diritto canonico (quasi sicuramente materia del suo corso di studi) per dimostrare il controsenso degli insegnamenti della chiesa cattolico-romana. 

Il primo giorno del processo, Pomponio dichiarò fermamente di non essere sottomesso a nessuna chiesa particolare, ma di far parte della chiesa universale il cui capo è Gesù Cristo, negando il ruolo della chiesa romana che “ha voluto e vuole che la nostra salvezza sia fondata non solo sul sangue di Gesù Cristo, ma anche sulle nostre opere” (p.152). Gli inquisitori colsero la palla al balzo accusandolo di negare le buone opere, ma lo studente replicò egregiamente affermando la loro utilità in quanto risultato di una vita redenta da Cristo e non il mezzo per guadagnarsi la salvezza. Da lì fu naturale continuare il discorso esponendo la dottrina della salvezza per sola grazia, al che gli inquisitori, fortemente irritati dalle sue risposte, lo interruppero tacciandolo di eresia.  

Non avendo abbastanza tempo per fargli ulteriori domande, lo convocarono il giorno successivo. La maggior parte della seconda e terza fase del processo si incentrò sugli unici sacramenti riconosciuti dai protestanti: il battesimo e l’eucarestia. Ancora una volta, Pomponio dimostrò di essere in grado di motivare biblicamente l’infondatezza dei dogmi cattolici: il battesimo non è altro che la dimostrazione e il ricordo esteriore di una vita redenta da Cristo. Per confutare la transustanziazione, si avvalse di una dimostrazione semplice ed incisiva: “[…] vediamo manifestamente che un tale pane dura solo uno spazio di tempo e dalla sua corruzione e putrefazione si generano vermi. Quindi da dove verrebbero i vermi? Non potrebbe che essere dalla sostanza che voi vorreste essere mutata nel corpo di Cristo” (p.162). 

È nella quarta e ultima fase del processo che Pomponio giunse ad esasperare gli inquisitori fino al midollo, affermando di rifiutare l’intercessione dei santi. L’unico intercessore e mediatore ammesso tra l’uomo e Dio è Gesù Cristo in quanto l’unico degno, con i suoi meriti, di presentarsi al Padre: “Se Dio ci si è fatto Padre, perché avremmo bisogno di Mediatori? Perché servirà un terzo, tra Padre e Figlio, che preghi per gli altri figli? Se siamo membri di Cristo perché non andare coraggiosamente da nostro Padre (piuttosto che mendicare l’aiuto di altri, mostrandoci renitenti e fuggitivi) umiliandoci davanti a lui perché ci perdoni?” (p. 165). 

In ogni argomento trattato, Pomponio diminuì per far crescere agli occhi degli inquisitori Gesù Cristo (Giovanni 3,30). Il suo Salvatore e Signore si rifletteva così intensamente nelle sue argomentazioni e nelle sue credenze che ad un certo punto gli ascoltatori, devoti cattolici, dovettero fermarlo perché li aveva fatto “venire il mal di testa parlando così tanto di Cristo” (p. 166). Disprezzarono la sua giovane età e lo accusarono di essere un saccente. Al che, ancora una volta, lo studente nolano, dimostrò la sua maturità: “Non dico di voler correggere la Chiesa, dato che non è compito mio; ma farò in modo che la mia anima non cada in errore. E per quanto riguarda l’età, mi sorprendo di ciò che mi obbiettate, visto che in più punti della Scrittura si legge che l’intelligenza non deriva dall’età, ma dallo Spirito” (p. 168). 

La conoscenza biblica e teologica di Pomponio si rifletté nelle sue azioni. Egli non demorse e mostrò i frutti di una fede basata unicamente su Gesù Cristo e la sua opera redentrice. Conscio di aver glorificato Dio attraverso le sue risposte e certo della sua destinazione celeste, mentre veniva immerso nell’olio bollente, “continuò a invocare e a lodare Dio” (p. 102). Che Pomponio possa essere un modello per gli studenti universitari, affinché, per grazia del Signore, siano spronati ad approfondire la conoscenza del nostro Dio e a “combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre” (Giuda 3).


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