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Possiamo imparare qualcosa dalla chiesa evangelica americana?

Da questa parte dell’Oceano Atlantico, l’America evangelica sembra scintillante ed energetica se messa a confronto con il non proprio florido scenario evangelico europeo. Molte “novità” ed iniziative avviate negli USA (canti, mode, tendenze spirituali) si ritrovano in Europa 5-10 anni dopo. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che l’America evangelica faccia tendenza nel bene e nel male. Cosa si può imparare e cosa si deve problematizzare?

Questa domanda è stata al centro di un seminario dello European Leadership Forum tenuto da Darell Bock. Studioso evangelico del Nuovo Testamento di fama internazionale, professore al Dallas Theological Seminary, Darell Bock è conosciuto anche in Italia per il suo libro Alla scoperta del vero vangelo perduto (GBU, 2017) e anche per la sua attività di teologo “pubblico”. Il seminario è stata l’occasione per ascoltare una voce significativa della teologia evangelica americana riflettere sui chiaroscuri dell’evangelicalismo del suo Paese.

Come premessa, Bock ha fatto notare alcune specificità dell’esperienza evangelica americana. Gli USA non sono uniformi. C’è la “Bible belt” dove il cristianesimo è intrecciato a tutta la vita (“trovi il cristianesimo a Taco Bell e a Wallmart”) e c’è il nord-est ed il nord-ovest dove la presenza evangelica è più marginale.

Tra le cose che la chiesa evangelica americana fa bene, Bock ne ha ricordate tre:

  1. Mostra energia e capacità d’innovazione nelle sue iniziative e reti di collegamento. Dopo la rottura con il liberalismo d’inizio Novecento che li avevi marginalizzati, gli evangelici USA hanno costruito o ricostruito case editrici, facoltà di teologia, agenzie missionarie, organismi diaconali, ecc. mostrando una notevole vitalità e spirito imprenditoriale.

  2. Mostra altresì una fluidità ed intenzionalità nei collegamenti interni e nella capacità collaborativa tra soggetti diversi. Un certo pragmatismo e facilità di raccordo rendono le relazioni aperte e sempre in movimento.

  3. La matrice fondamentalista d’inizio Novecento l’ha resa forte sugli essenziali dell’evangelo: l’ispirazione e l’autorità della Bibbia e la salvezza per fede soltanto. Insomma, il messaggio “semplice” dell’evangelo è il collante aggregante e trasversale.

In seguito Bock si è soffermato sulle criticità della chiesa evangelica americana, individuate nelle seguenti:

  1. La crescente focalizzazione sulle questioni interne, fino a farle esasperare, piuttosto che concentrarsi sulla missione evangelica nel e per il mondo. Gli evangelici si interessano di “altri” evangelici (criticando o lodandoli) e meno di chi evangelico non è, cioè dei non credenti.

  2. La politicizzazione della fede che confonde autorità spirituale e potere politico, voto allo stesso partito e fraternità in Cristo. Si creano coalizioni e polarizzazioni su base politica più che evangelica. Più che il vangelo, è la politica ad essere vista come la risposta ai problemi di oggi.

  3. La difficoltà nel distinguere ciò che è “americano” e ciò che è biblico. Le due dimensioni vengono sovrapposte e ciò fa perdere in capacità autocritica e distanziamento dal nazionalismo.

Bock ha concluso il seminario con l’auspicio che l’America evangelica sviluppi una teologia pubblica non muscolare e divisiva, ma fedele all’evangelo ed ispirata al rispetto di cui parla 1 Pietro 3,15-16.

La discussione seguita ha permesso all’uditorio europeo di misurarsi con Bock su alcune questioni di attualità come l’impatto delle elezioni imminenti, le “guerre culturali” di ieri e di oggi, il fenomeno del de-churching (allontanamento dalla chiesa) e degli ex-vangelici che decostruiscono la loro identità un tempo definita dall’appartenenza all’evangelismo. Sono mancate occasioni di affrontare temi quali la collocazione della chiesa evangelica USA nel panorama della chiesa globale, il ruolo delle missioni (da soggetti autoreferenziali ad agenzie in rete) e lo scarso tasso di confessionalità che si registra nel diffuso vissuto evangelico USA.


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