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Predicazione digitale, la migliore soluzione?

Da quando ci è stato impedito di riunirci nei nostri locali di culto i buoni amministratori dei “misteri di Dio” hanno cercato modi alternativi per nutrire con la parola di Dio il popolo loro affidato. Le circostanze davvero inusuali in cui stiamo vivendo hanno costretto ciascuno di noi a curare la propria mente e il proprio cuore ricorrendo maggiormente alla “predicazione digitale”, un tipo di comunicazione della verità del Vangelo che, nel passato, almeno per la maggior parte dei membri di chiesa, ha costituito solo una piccola frazione della loro dieta spirituale.

Se è vero che “il medium è il messaggio”, e che “una nuova tecnologia ha effetti ecologici sull’ambiente in cui viene introdotta”, ciò ci proietta in una nuova dimensione, apre scenari nuovi e instaura nuove dinamiche sulle quali vale la pena riflettere.  

Parlando di “predicazione digitale”mi riferisco alla “proclamazione, spiegazione e applicazione di una porzione della Scrittura” e non tanto a discorsi che hanno come fine quello di comunicare e condividere informazioni intorno al Vangelo in particolare o alla teologia in generale. Inoltre, per quanto riguarda questa riflessione, non ritengo importante distinguere se tale predicazione che viene immessa in rete sia fatta in diretta o trasmessa in differita e nemmeno se si svolge nel contesto di una chiesa, al cospetto di persone in carne e ossa,o semplicemente davanti a una telecamera.

 

Niente di nuovo sotto il sole?

In un certo senso non c’è nulla di “radicalmente nuovo” in questo modello di comunicazione del Vangelo. I vantaggi e i pericoli della predicazione digitale non sono molto diversi da quelli della predicazione analogica del passato, attuata mediante brevi trattati o libri, oppure con altri strumenti tecnologici come la radio o la TV. L’arte della retorica è sempre stata impiegata per diffondere le idee, tanto le buone quanto le cattive. Un retore sacro, un predicatore, ha sempre avuto la possibilità di sviare moltitudini e divenire una “celebrità” anche in tempi precedenti all’era digitale (gli avvertimenti di Gesù e dell’apostolo Paolo sono sempre stati rilevanti). L’uso di strumenti di manipolazione (ben conosciuti fin dai tempi di Simon Mago) è sempre stato praticato.

Per altri versi però, sebbene la differenza non sia nella sostanza, vi è la “novità” offerta dalla straordinaria accessibilità all’uso del mezzo tecnologico e quindi al contenuto stesso. Le dirette streaming, i blog e i podcast,la produzione e la fruizione di video ei social media sono oggi a disposizione di chiunque, e chi abbia una certa capacità comunicativa e una pur modesta disponibilità economica può vedere crescere il consenso e i seguaci in modi davvero impensabili fino a pochi anni fa. 

D’altra parte, però, la democraticità di questi mezzi (ammesso che questa sia davvero un valore, quando di tratta di teologia e di autorevolezza scientifica!), con il tempo, si rivela anche uno strumento di verità perché, al netto di manipolazioni, essi diffondono in modo impietoso tutto quello che una certa persona dice e fa e - alla lunga - piuttosto che le capacità personali e il carattere carismatico della persona stessa, ciò che rimane sono i contenuti e la coerenza ad essi con cui avrà agito.

Non è necessario avere la memoria troppo lunga (e se non la si ha basta fare una ricerca in rete!) per trarre degli insegnamenti dai casi emblematici dell’ascesa, la caduta e il tentativo di risalita di telepredicatori famosi come Jimmy L. Swaggart e Mark Driscoll. Dobbiamo quindi fare attenzione a quanto c’è di “già visto” e di nuovo nell’era della predicazione digitale. 

Tecnologia amica e nemica

L’invenzione e l’uso della tecnologia sono intimamente legati al mandato culturale (o del dominio della realtà creata) affidato da Dio all’umanità (Genesi 1:28) e parte delle benedizioni della grazia comune. Per questa ragione, quando il popolo di Dio, volente o nolente, si trova in una posizione di arretratezza tecnologica, non può che subirne il danno. Ciò è chiaramente dimostrato nel caso del gap tecnologico tra i Filistei e gli Israeliti di cui è detto in 1 Samuele 13:19-20 e ci richiama ad essere conoscitori e fruitori responsabili e sagaci dell’offerta e delle possibilità delle nuove tecnologie.

Pur senza voler trarre presagi escatologici da Daniele 12:4, relativamente all’aumento della conoscenza, la rete è un fatto veramente singolare nella storia umana! È innegabile che si sta ormai creando una “mega mente” alla quale tutti possono contribuire e dalla quale tutti possono attingere.

Dal punto di vista del predicatore, a questo proposito si consideri:

1. L’abbondanza dei contenuti. Ma siamo certi che per il predicatore l’eccessiva quantità, più che un aiuto, non sia un ostacolo alla riflessione e al pensiero originale? Considerando la facilitazione offerta dal “copia incolla” (che è assai peggiore del vecchio “plagio”), abbiamo visto sorgere una nuova generazione di autodidatti, intransigenti, ottusi e spaventosamente diversi da quelli “vecchi”.

2. La varietà dei modelli. La predicazione, come ogni altra “arte” s’impara anche per emulazione e, quindi, i modelli che poniamo dinanzi ai nostri occhi hanno l’effetto di plasmarci a loro immagine. Quali modelli di predicazione si sceglierà di seguire? Secondo quali criteri? La moltitudine dell’offerta richiede competenza per operare delle scelte adeguate. Quale teologia della predicazione influenzerà questa scelta? I presupposti,spesso, sono del tutto trascurati.

3. La visibilità. In questo campo è all’opera una “selezione naturale” in gran parte determinata dalle visualizzazioni e dai like, e solo in piccola parte dalla varietà dei contenuti. Una semplicissima indagine sui “tempi di visualizzazione” rapportati al “numero delle visualizzazioni” mostra medie bassissime (dell’ordine di 2-3 minuti su video/audio di 30-40 minuti). Essere visibili e popolari non significa necessariamente essere utili.

4. Il riscontro. Raggiungere persone e luoghi lontanissimi senza sapere nulla del beneficio arrecato, potrebbe preservarci dalla tentazione dell’adulazione, ma non procura alcun incoraggiamento e azzera la relazione vitale tra maestro e discepolo.

 

Dal punto di vista dell’ascoltatore, invece, ci troviamo al cospetto del pericolo di una nuovaforma di gnosticismo, di un cristianesimo e, in particolare di un modo di “fare chiesa” del tutto disincarnati.

Le problematiche di questa devianza sono state affrontate dall’apostolo Giovanni in 1 Giovanni 4:1ss e ritengo che i rimedi siano gli stessi.

1. Il discernimento. Considerando che spesso sono proprio i credenti più giovani nella fede ad abusare di questo mezzo, non è raro che il fruitore tipo ne sia privo. In particolare, è necessario discernere:

  • La sana e autentica “tradizione apostolica” (il “noi” di 1 Giovanni 1:1-4; 4:6, 14).

  • La vita della chiesa locale (l’epistola è scritta a vere chiese locali e si riferisce a fatti precisi avvenuti nello spazio e nel tempo). 

  • Il tema del “credente nel mondo” (23 volte usato nell’intera epistola)

  • Il tema dell’amore tra i credenti.

2. La selettività. Il fruitore esclusivo della predicazione digitale opera costantemente una selezione su chi ascoltare,quando ascoltare, quanto ascoltare, cosa ascoltare, dove ascoltare, come ascoltare e le scelte che opererà dipenderanno dai suoi gusti. La soddisfazione del “gusto del cliente” è il pericolo contro cui Paolo avverte in 2 Timoteo 4:3 e riguarda (seppur secondariamente) non solo l’eresia. Il contesto di una dieta esclusiva di predicazione digitale capovolge le dinamiche che s’instaurano nel contesto di una chiesa locale dove l’ascoltatore ha il minimo controllo sui temi, i modi, i contenuti e i tempi. La predicazione digitale azzera quella che Martin Lloyd-Jones definì “il romanticismo della predicazione” (the romance of preaching) che è uno dei più grandi benefici di cui gode chi partecipa al culto cristiano “in carne e ossa”.

3. L’idealizzazione. Infine, ma non certo per importanza, l’ascoltatore (quasi) esclusivo della predicazione digitale tenderà inevitabilmente a idealizzare sia la persona del predicatore sia la vita della chiesa, dimenticando che il tesoro del Vangelo è posto da Dio in “vasi di terra” (2 Corinzi 4:7). Mentre la“terra” della debolezza umana del predicatore e l’incompiutezza della santificazione nel resto dei membri della chiesa saranno sempre visibili a chi ha una esperienza diretta, personale e fisica, non è così nel caso di ologrammi.

Tratto da http://www.cerbi.it/sfide14.html


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