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Quando l’arte spaccia patacche velenose

In un racconto romantico della realtà, l’arte è associata alla sensibilità, alla profondità, all’ulteriorità. Se si fa riferimento all’arte, si pensa alla bellezza. Tutto vero, ma estremamente limitante. Come tutto il resto della vita, l’arte è sì capace di suscitare emozioni ed evocazioni al bello e al vero, ma anche di spingere nell’abisso del male. Una visione cristiana (dunque realista) dell’arte sa che essa subisce e contribuisce a tutte le distorsioni del peccato, tutte. Così come tutta la vita, l’arte è contaminata e contaminante. Ciò non significa demonizzare l’arte tout court, ma nemmeno averne una lettura sentimentale e superficiale.

Un esempio di quanto l’arte possa essere malvagia viene da una corrispondenza di David Robertson da Melbourne (Australia) apparsa su Evangelicals Now (August 2024, p. 11). L’articolo parla del festival d’arte “Rising”, organizzato con fondi pubblici nella capitale dello stato di Victoria. Tra le molte proposte, alcune notevoli, altre provocanti, Robertson segnala una massiccia presenza di “performance” all’insegna della cultura queer, omosessualista e transgender: una pletora di eventi, installazioni, danze, ecc. ossessivamente dominate dalla politica identitaria lgbtq+. 

Il culmine del festival è stato raggiunto con l’esibizione di un’artista brasiliana che è stata drogata fino all’incoscienza per poi entrare nel suo corpo con una videocamera le cui riprese sono state mostrate live. Tutto questo in nome dell’arte e considerando questa “performance” come artistica (e pagata con i soldi di tutti). L’arte può raggiungere anche queste bassezze. 

D’altra parte, non sono passati che pochi giorni dalla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi parigine in cui, in nome dell’arte, sono state presentate esibizioni ideologicamente impregnate di una cultura a senso unico (sempre lo stesso: quello lgbtq+). Se ne sono viste di tutti i colori: ammiccamenti orgiastici, parodie dissacranti di scene evangeliche, promozione della “cancel culture”. Tutto in mondovisione e presentato con i crismi della libertà artistica e in nome dell’inclusione. 

Certamente, come ha detto l’estetologo protestante Hans Rookmaaker, “l’arte non ha bisogno di giustificazione”. Con ciò voleva dire che l’arte non è un’appendice la cui funzione deve essere didascalica e, peggio ancora, catechistica rispetto ai valori “buoni”. L’arte ha un suo spazio proprio, non sottoposto allo stato o ad altre agenzie (chiesa, accademie, ecc.). L’arte non deve necessariamente edificare e rafforzare i valori della maggioranza. E’ libera di forzarli, provocarli, guardare oltre, dietro e dentro le cose.

L’arte è libera per natura rispetto ad altre sfere della vita ad essa orizzontalmente collegate. Tuttavia, essa non è libera rispetto alla Parola di Dio a cui tutto è sottoposto. Se non ci sono criteri esterni all’arte a cui debba rifarsi, ci sono i criteri della Parola che sono validi per tutto e per tutti: la dignità delle persone (non si può drogare una donna per abusare del suo corpo in una performance: questa non è arte, è un reato penale!); la dignità della creazione (non si può sovvertire l’ordine secondo cui “maschio e femmina li creò”, Genesi 1,27: questa non è arte, è sottomissione in schiavitù di un mondo fittizio). 

La cultura evangelica contemporanea è ancora largamente impreparata ad interagire con l’arte e a produrre arte. Corre il rischio di sentimentalizzarla (“oh, che bella l’arte!”) o di demonizzarla (“oh, quanta spazzatura diabolica c’è nell’arte!”), senza avere adeguate chiavi di lettura bibliche. 

L’arte non è un campo neutro. E’ tutta dentro la buona creazione di Dio, tutta dentro gli effetti distorsivi del peccato, tutta dentro le dinamiche rigeneratrici della grazia. Solo uno sguardo biblicamente realista può aiutare a sviluppare un’estetica che sappia vedere gli abissi sopra ricordati, senza perdere di vista il fatto che Dio è il primo artista e che, creandoci a sua immagine e somiglianza, ha fatto di noi degli “artisti”. L’arte produce patacche figlie del peccato ma può e deve essere vissuta per portare frutti alla gloria di Dio.


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