Salario minimo, lavoro degno
Per alcuni è una manovra di giustizia sociale, per altri è un diritto, per altri ancora è un modo per acquisire consensi. In un modo o nell’altro l’istituzione del salario minimo è al centro del dibattito politico. E visto che esiste in quasi tutti i Paesi membri dell’UE, “a sorpresa” si potrebbe dire, in Italia ancora non è definito per legge (in senso stretto).
Solo qualche giorno fa la Camera ha detto no all’introduzione del salario minimo come possibile misura volta a raggiungere l’obiettivo di tutela dei lavoratori e a facilitare il dialogo tra le parti sociali. La Direttiva UE da cui partiva la discussione aveva l’obiettivo di ridurre i cosiddetti “working poor” per un lavoro più sostenibile e giusto. Il motivo del “no” del Governo è essenzialmente questo: il salario minimo non sembra essere risolutivo per affrontare i problemi del lavoro. Giusto? Sbagliato?
Senza entrare nella polemica politica, qualche considerazione generale può essere svolta. Biblicamente parlando, ogni operario è degno del suo salario (Luca 10,7); ogni persona che lavora ha il diritto di ricevere una giusta retribuzione, per la dignità del lavoro in sé e affinché il lavoratore possa vivere. Il salario serve per la vita, ad esclusione degli eccessi e dei vizi dannosi (Proverbi 10,16-17). Il libro del Deuteronomio ci dice anche che la retribuzione, seppur modesta, deve essere riconosciuta al tempo opportuno, quando il lavoro è compiuto. Il punto è che non deve essere differita molto o procrastinata indebitamente. Dalla prospettiva cristiana, non è concepito il lavoro senza un patto tra le parti di cui un salario sia parte integrante. Nel libro del Deuteronomio Mosè parlava ad un popolo in cui anche la relazione tra operaio/dipendente e datore di lavoro doveva essere regolata e orientata in modo da non permettere sfruttamenti o inadempienze, né tantomeno pigrizia e superficialità. Anche Paolo in Efesini, nel descrivere le implicazioni del vangelo nella vita, ricorda proprio che nella prospettiva cristiana anche il rapporto tra sottoposti e superiori deve essere guidato dai principi dell’evangelo che rimandano alla responsabilità di lavorare e far lavorare in condizioni di giustizia, tra cui c’è una giusta retribuzione.
Raccogliendo questi elementi biblici, si può dire che non basta un qualche tipo di salario per onorare il lavoro. Oltre ad essere riconosciuto come tale, il salario deve essere giusto, commisurato alla dignità del lavoro e proporzionale al lavoro svolto. Questo vuol dire che la sua determinazione non può essere lasciata alle sole regole del mercato per due ragioni: 1. il mercato, da solo è, come il resto delle attività umane, impregnato di distorsioni che in genere vanno a detrimento dei più deboli ed indifesi; 2. il mercato, da solo, è spesso attraversato da sacche e sistemi di mercato “nero” e “criminale” che sfruttano il lavoro e i lavoratori senza riconoscere loro la dignità di persone. Oltre al mercato, ci devono essere elementi equilibratori che contribuiscono a fissare un livello “minimo” che consenta di parlare di salario equo, dignitoso, rispettoso del lavoratore e del lavoro.
Si può parlare di salario minimo come misura utile solo se si guarda al tema attraverso la lente della responsabilità differenziata in cui tutti i soggetti coinvolti esercitano la loro responsabilità, per definire la soglia minima e in base a quali criteri.
Se non è il mercato l’unico attore in grado di riconoscere e promuovere la dignità del lavoro, si può pensare ad un intervento del Parlamento eletto dai cittadini come luogo in cui, tramite deliberazione pubblica, si tematizzi l’importanza del lavoro e si stabiliscano criteri minimi di retribuzione? Con una legge che fissa il quadro generale, sarebbero poi le parti sociali (imprenditori, lavoratori) a rivedere periodicamente la consistenza del salario minimo? Tutte queste modalità andrebbero studiate bene per impedire l’invadenza dello Stato nell’economia, ma anche per sottrarre il lavoro alle distorsioni di una deregulation a detrimento dei deboli.
La discussione sul salario minimo è un’occasione per farsi domande sulla dignità del lavoro, sulle distorsioni del lavoro e sulle misure possibili per promuovere il “buon lavoro”.