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Se fare il pasticcere diventa un mestiere pericoloso

Fare il pasticcere è un mestiere “dolce”, per alcuni invidiabile. E invece no. Sembrerebbe che per Jack Phillips, pasticciere del Colorado, la sua bravura nel preparare le torte sia diventata una condizione pericolosa piuttosto che un merito. Nel giro di poco tempo, infatti, è già finito due volte in tribunale per essersi rifiutato di preparare delle torte a clienti che gliele avevano ordinate per circostanze particolari.  

Nel primo caso (2018) rifiutandosi di preparare una torta “nuziale” per una coppia gay, fu citato in giudizio; la vicenda poi si concluse con entrambe le parti disposte ad abbandonare la battaglia legale. Successivamente invece è stato accusato di discriminazione da una donna transessuale che aveva richiesto una torta che fosse azzurra all’esterno e rosa all’interno come simbolo per festeggiare la sua transizione di genere. Anche in questo caso il pasticcere aveva rifiutato l’ordine pensando di agire nella sfera della sua libertà di pasticcere di ricevere o meno gli ordini chiesti da potenziali clienti.

Il pasticciere spiega che il suo rifiuto non può essere considerato discriminazione, ma che semplicemente non ritiene di lavorare per qualcosa che non rispecchia quello in cui crede. Mentre tutto ciò può essere estremizzato dall’uno e dall’altro lato, può essere ritenuto assurdo e perfino ridicolo; in realtà evidenzia una deriva culturale verso la quale anche l’Italia si sta avviando.

Un pasticcere, come qualsiasi altro artigiano, svolge un lavoro “libero”, nel senso che può o non può ricevere ordini da parte di clienti per ragioni aziendali, di tempo, di troppo lavoro accumulato e anche per ragioni sue, senza dover renderne conto ad altri. Non si può “ordinare” al pasticcere una torta pretendendo che sia fatta. In un contratto, c’è sempre lo spazio per rifiutare senza sindacare le ragioni del rifiuto. Il cliente che non trova soddisfazione in un pasticcere potrà sempre trovarla in un altro pasticcere che vorrà eseguire l’ordine. Basta andare da un altro. Questo è normale nella vita quotidiana; questo è quello che accade sempre quando cerchiamo un idraulico, un notaio, un infermiere per produrre un bene o svolgere un servizio. Eppure, anche ciò che è scontato, viene messo in discussione dall’ideologia che vuole piegare la libertà artigianale e commerciale al credo del pensiero unico sul gender.

Vogliamo davvero forzare la libertà d’impresa ad un’ideologia obbligando i fornitori o i clienti alla volontà di una parte? Vogliamo davvero delegare alla magistratura la gestione delle diversità culturali per imporne una a scapito dell’altra? Vogliamo davvero trasformare la preparazione di una torta in uno scontro ideologico? Così come la Corte Suprema statunitense non riesce ancora a trovare un equilibrio tra la tutela della comunità LGBT+ e la salvaguardia del pluralismo culturale anche di chi ha una visione cristiana sui temi del gender, anche l’Europa e l’Italia si stanno avvicinando al presentarsi a casi di questo genere.

L’opinione pubblica proprio in questi giorni, infatti, si sta muovendo massicciamente con appelli di molti influencer e personaggi pubblici a favore del Ddl Zan che servirebbe per tutelare le vittime dell’omotransfobia. Premettendo che gli atti di violenza e discriminazione contro ogni altro essere umano sia per motivi legati all’orientamento sessuale, identità di genere o qualsiasi altro motivo, sono da condannare ed espressamente contrari alla visione biblica del mondo, la libertà di pensiero ed espressione per tutti resta una priorità per i cristiani.

La paradossale vicenda del pasticciere statunitense non è quindi uno scenario da considerare lontano e gli evangelici dovrebbero con maggiore forza far sentire la loro voce su un tema tanto sensibile rivendicando la libertà, per tutti, di parola e di espressione.


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