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Se la fondazione di chiesa fallisce (ma pochi ne parlano)

Nei movimenti evangelici che promuovono la fondazione di chiese in Europa c’è un linguaggio comune. Possono essere a trazione ed influenza riformata (CitytoCity Europe, Atti29), carismatica (Global Church Network, M4 Europe), o più generalmente evangelicale, ma il comun denominatore sembra essere la narrazione ottimista della fondazione di nuove chiese. Tutti dicono che è possibile, alla portata di mano, fattibile da tutti o quasi. A questo approccio positivo e attivistico, si accompagnano storie di successo che costellano i racconti di come decine di nuove chiese siano state avviate in diversi contesti. A leggere le comunicazioni di queste reti ci sono progetti ambiziosi per moltiplicare in breve tempo i risultati. 

Tutto bene allora? Non proprio. A ben guardare, molte storie di inizio di fondazione di chiesa durano pochi anni e poi si trasformano in fallimenti. In Europa soprattutto, il terreno spirituale sembra essere duro, paragonabile a quello con poca terra della parabola evangelica. Dopo un iniziale germoglio, tutto è a rischio seccatura perché manca di profondità e di radici. Anche i progetti di fondazione di chiesa, annunciati e avviati in grande pompa, dopo poco vanno incontro a veloci parabole discendenti sino a sfiorire ancor prima di aver portato frutto duraturo. Non è piacevole sentire tutto ciò, ma si deve nascondere la testa sotto la sabbia pur di non fare i conti con la realtà?

A parlare di questo fenomeno è un articolo di Ken Chitwood, “What It Takes to Plant Churches in Europe”, Christianity Today (September/October 2024). E’ un salutare bagno di realtà. Chitwood ha incontrato diversi fondatori di chiese in Europa e alcuni studiosi del fenomeno e ha raccolto storie che appaiono un po’ diverse da quelle che vengono presentate come storie di successo.

Lo scenario a cui l’articolo dà voce è fatto di tanti progetti sì, ma anche di tanti abbandoni e numerosi fallimenti. Tante chiese “fondate” si sono in realtà squagliate dopo pochi anni. Altre, dopo breve tempo, non vedendo il frutto sperato stanno pensando di chiudere i battenti (quasi che la chiesa fosse un business che, se non sfonda subito, va chiuso!). Altre ancora sperimentano stagioni di relativa crescita salvo poi stabilizzarsi in una sorta di plateau. Insomma, la fondazione di chiese non è la storia delle “magnifiche sorte e progressive” di leopardiana memoria. E’ semmai la storia di chi pianta e chi annaffia sapendo che ci fa crescere è il Signore. Se e come lo farà, a chi pianta e annaffia non è dato pienamente di sapere. La fondazione di chiesa è nelle mani di Dio e segue le dinamiche della provvidenza ordinaria e straordinaria. Se la si paragona al piazzamento di un prodotto, si commette un fallo da rigore. Se la si scambia con una strategia commerciale qualsiasi, non si è capito veramente quello che si sta facendo. 

Nella micro-esperienza di cui sono testimone diretto nel campo della fondazione di chiese, ho anch’io ho ascoltato spesso discorsi altisonanti che apparivano discordanti rispetto alla realtà spirituale italiana e europea. Come non mi sono esaltato di fronte a progetti che sembravano spiritualmente sovradimensionati e frutto più di una cultura aziendale che non di una evangelica, così non bisogna scoraggiarsi e diventare cinici e pessimisti.

Più che guardare al successo subito, occorre tarare il proprio impegno sulla fedeltà speranzosa che sa reggere una corsa a lungo chilometraggio. La fondazione di chiese non è una gara di cento metri, ma una lunga maratona. Mentre va praticata aprendosi alla santa creatività e all’innovazione nella testimonianza, non va mai dimenticato che il sostrato di tutto deve essere la fedeltà al Signore e al suo evangelo. E’ quest’ultimo che fa stare in piedi anche quando si incontrano tratti in salita e anche turbolenze. 

Forse i movimenti di fondazione di chiese dovrebbero imparare ad essere più sobri, realistici e trasparenti. Va bene voler trasmettere passione ed entusiasmo, ma sempre dentro la cornice della dipendenza da Dio e della rendicontazione onesta. Oltre alle storie di successo, siamo liberi anche di condividere i fallimenti e aprire tavoli per capirne le ragioni e cambiare dove si è sbagliato?


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