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Senza identità, scolarità e unità, il futuro dell’Italia evangelica è a rischio

[Questo articolo è stato già pubblicato il 26 gennaio 2022. In occasione del periodo estivo, la redazione di Loci Communes ha scelto di ripubblicare articoli che ritiene rilevanti, alternandoli a nuovi. Buona lettura!]

Frammentazione endemica, stanchezza diffusa, inadeguatezza strutturale, secolarizzazione galoppante. Sembrano essere questi gli indicatori dell’Italia evangelica oggi. I segnali di crisi non possono essere ignorati da chi ha a cuore il presente e il futuro della testimonianza evangelica. Che ne sarà dell’Italia evangelica del futuro?

La domanda è grossa e la risposta è oggettivamente fuori dalla portata di un articolo. Può comunque essere utile ascoltare una voce che dà a pensare. In una conferenza del 2001 a Roma sul futuro della formazione teologica italiana, il teologo evangelico Pietro Bolognesi ha parlato della necessità di una cultura dell'identità che miri all'assorbimento e alla valorizzazione del pensiero evangelico da parte degli evangelici stessi; di una cultura della scolarità, che incoraggi lo studio serio, il dibattito e la formazione; di una cultura dell’unità, che tracci una strada capace di compattare il mondo evangelicale, superando gli inutili particolarismi di cui esso è affetto[1].

Prendiamo in rapida rassegna alcuni spunti.

L’identità significa assimilare chi siamo in Cristo secondo tutto il consiglio di Dio, eredi della storia della chiesa fedele all’evangelo e nel contesto del nostro mondo contemporaneo. In un modo post-verità, post-confessionale, post-cristiano, se non sappiamo chi siamo, qual è il messaggio dell’evangelo e come viverlo oggi, saremo travolti dalla melassa del pensiero unico, che può avere versioni pan-ecumeniche o secolari, ma che fa diventare tutto grigio il mondo. Senza approfondire l’identità evangelica non ci sarà alcun discepolato perché ci sarà poco o niente da trasmettere, se non qualche banalità origliata ed inconcludente.

La scolarità serve ad irrobustire il profilo culturale della testimonianza e non accontentarsi di pressapochismi, populismi e qualunquismi ministeriali. La crescita della chiesa ha bisogno di uomini e donne che leggono, studiano, discutono, partecipano a convegni, fruiscono di risorse e promuovono la diffusione di libri. Non bisogna accontentarsi di ministeri wikipedia, di tweets soltanto o di banalità spacciate dai social media. La gens evangelica va alle fonti della parola di Dio: studia la Scrittura. Si familiarizza con la storia della chiesa. Abita la dottrina cristiana. Instilla nelle chiese l’amore per la conoscenza che edifica. Fa delle pratiche scolari la quotidianità della sua crescita cristiana. Il discepolato senza studio è un bluff.

L’unità è un dono per vivere l’unità in Cristo che già abbiamo in quanto nati di nuovo dall’alto e parte del popolo di Dio. Nessuno crescerà da solo o contro gli altri fratelli e sorelle o indipendentemente dalle altre chiese. Coltivando ognuno il proprio silo non costruiremo niente di significativo. Un’identità evangelica forte richiede un impegno all’unità evangelica altrettanto forte. Nel servire la chiesa, serviamo le nostre comunità locali, ma teniamo sempre presente il popolo evangelico nel suo complesso. O andiamo avanti insieme o rimaniamo tutti fermi o quasi. La cultura del discepolato si crea e si nutre come sorella dell’unità evangelica.

Quanti evangelici italiani sono donne e uomini dall’identità solida, dalla scolarità difendibile e dall’unità vissuta? Forse uno dei problemi dell’Italia evangelica è che queste persone sono ancora troppo poche per fare una vera differenza.

[1] Da una relazione sulle “Prospettive per la formazione teologica in Italia” tenuta a Roma, presso la Chiesa battista di Trastevere, il 20/1/200l.


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