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Sugar Baby, sai veramente cos’è l’amore?

Di recente mi è capitato di leggere un  articolo di Elisabetta Andreis sul Corriere della Sera (21 marzo 2021) che parla di alcune ragazze universitarie che si propongono come sugar baby per pagarsi l’università. Mentre lo leggevo provavo un miscuglio emotivamente scombussolante di perplessità e tristezza per le risposte di queste ragazze. Mi venivano in mente anche diverse domande: vale veramente la pena tutto questo per vivere in una zona un po’ più comoda di Milano? Pensano davvero queste ragazze di poter smettere dopo cinque anni? Dopo tutti questi rapporti quale effetto psicologico ed emotivo ci sarà più in là nella vita?

Però mentre leggevo, forse la cosa che mi colpiva di più era l’atteggiamento “sicuro” che queste ragazze avevano riguardo a questa attività. Sembrava quasi di esserci un’aria di onore o anche orgoglio che si percepiva nelle loro risposte. Per esempio dicevano, “Il marciapiede non lo vediamo neanche da lontano, ci mancherebbe. In strada ci sono le vittime della tratta, noi facciamo tutta un’altra cosa … Vendiamo esperienze e non c’è disparità di potere perché noi abbiamo la giovinezza, loro il denaro”. Però più parlavano, più si smascherava la realtà di questo tipo di rapporto. Questo si vede chiaramente nelle parole seguenti: “La prestazione sessuale è il cuore di un accordo che però non si esaurisce lì, comprende anche altro … una sorta di relazione, ma finta, perché dell'altro in realtà non me ne importa niente … C’è tantissima domanda, anche adesso in tempo di Covid. Quindi possiamo permetterci di selezionare solo chi ci interessa, dire se a quelle condizioni ci va bene oppure no. Accompagnarli è una nostra scelta”.

Non so voi, ma leggere parole così calcolanti e transazionali riguardo al sesso mi lasciava perplesso. Non si fa sesso con una persona che si ama e con cui si ha un certo rapporto di intimità e fiducia? Non dovrebbe esserci un minimo di rispetto ed affinità reciproca a sostenere il rapporto sessuale? Insomma penso che io non sia solo quando dico che un rapporto sessuale non è una semplice transazione di beni e servizi.

Nonostante il fatto che tante persone condivideranno questa mia prospettiva, l'articolo di Andreis mi ha suscitato un’altra domanda ancora: in base a cosa Andreis trova le parole di queste ragazze “tristi” e da cosa emerge l’imbarazzo iniziale delle sugar baby riguardo al loro mestiere? Insomma, perché queste ragazze devono proprio “imparare a raccontarsi che va bene così”?  

A questo punto, uno potrebbe rispondere: “Ma è palese che il contesto migliore in cui fare il sesso è in un rapporto di rispetto e di fiducia reciproca!” A me viene da chiedere: in base a cosa è così palese questa affermazione? Cioè nella nostra odierna società secolarizzata, in base a cosa si sostiene che un rapporto sessuale richieda fiducia, rispetto e affinità?

Insomma faccio queste domande perché spesse volte il sesso viene visto come un semplice scambio fisico e emotivo tra due persone che provano certe emozioni l’una per l’altra (e sotto certi punti di vista, non bisogna neanche avere necessariamente delle emozioni!). In più, il sesso viene anche concepito come un semplice appetito fisico che va sfamato e alimentato per il benessere e per la salute fisica ed emotiva dell’individuo. Quindi, secondo questa visione, va benissimo sfogarsi e alimentarsi quando, come, e con chi pare (finché c’è il consenso ovviamente).

Quindi, se non mi sbaglio e se questo è effettivamente la visione prevalente della nostra cultura riguardo al sesso, allora cosa c’è di male con uno scambio fisico per guadagnare un po’ (o anche tanto!) per pagarsi le tasse universitarie e l’affitto o per mettere qualcosa da parte per il futuro? Non dovrebbe esserci niente di “triste” o “imbarazzante”. Anzi, dovrebbe essere ancora più vantaggioso per chi fa così perché si può sfamare l’appetito sessuale e guadagnarci contemporaneamente!

Penso che la maggior parte della gente troverebbe veramente triste una prospettiva di questo genere. Altrimenti, come mai queste ragazze dovrebbero “curare la mente” per continuare questa attività? Come mai dovrebbero “imparare a raccontarsi che va bene così” e come mai dovrebbero affermare che non ci si può innamorare di nessuno in quanto non si potrebbe continuare a guadagnarci? Può essere perché il sesso non è semplicemente un appetito da sfamare o un semplice scambio fisico ed emotivo fra persone che provano certe emozioni l’uno per l’altro? Insomma: può darsi che, alla fine, il sesso sia qualcosa di più?

Curiosamente, esiste una visione del sesso che afferma che il sesso sia qualcosa di molto più di un semplice appetito e che sia molto di più di un semplice scambio fisico ed emotivo. Esiste una visione che dichiara che il sesso è un modo tramite cui uno si unisce ad un’altra persona, e così facendo, si dona all’altra persona e si integra con un’altra persona così come il potassio si integra con il cloruro per diventare tutta un’altra sostanza, cioè il sale! Tutto sommato, esiste una visione del sesso che non lo sottovaluta, ma che lo tratta con cura ed onore. Parlo qui della visione biblica del sesso.

E la cosa interessante della visione biblica del sesso è che è stata formulata in un contesto non molto diverso dal nostro! Per esempio, durante i suoi vari viaggi nell’impero romano, l’apostolo Paolo scrisse diverse lettere ai cristiani greci di Corinto. In una di queste lettere (la prima lettera ai Corinzi nel Nuovo Testamento) Paolo cita due voci diverse dell’epoca che rappresentavano due visioni diverse del sesso. Una di queste voci, un po’ come quella della nostra cultura occidentale moderna, sosteneva che “il cibo è per lo stomaco e lo stomaco è per il cibo”. Insomma sosteneva che il sesso era un semplice appetito. Dall’altra parte invece, Paolo cita una voce che sosteneva che “è bene per l'uomo non toccare donna”. Secondo questa visione, il sesso era da evitare quasi completamente se possibile. Così questa visione assomiglia a diverse visioni religiose che sostengono che il sesso è disgustoso e che esiste solamente per creare una posterità. 

Paolo invece scriveva che il sesso non era né l’uno né l’altro. Diceva che il sesso era stato pensato per unire due persone insieme e per far sì che si integrassero l’uno con l’altro in tal modo da poter diventare una sola carne (σάρξ). Così facendo non era un semplice scambio fisico o emotivo ma un donarsi in modo totale. Secondo questa visione non ci si donava solo fisicamente ed emotivamente senza anche donarsi economicamente e socialmente. E questo donarsi si svolgeva esclusivamente nel contesto del matrimonio.

Ora, nella nostra cultura secolare odierna, non ci si vuole di solito donare completamente ad un’altra persona perché comporterebbe in parte la perdita della propria indipendenza e libertà. Però, mentre nella nostra cultura non vogliamo cedere la nostra indipendenza per vincolarci in un rapporto che duri tutta la vita, ironicamente, secondo me ognuno di noi vorrebbe che un’altra persona fosse disposta a fare proprio questo per noi. Insomma penso che, se fossimo onesti con noi stessi, tutti noi desideriamo un rapporto in cui qualcuno che ammiriamo davvero tanto ci ami fedelmente ed esclusivamente e non ci abbandoni mai.

Sarà il desiderio per questo tipo di rapporto il motivo per cui Andreis trova tristi le parole di queste ragazze? Sarà perché sa che il sesso non dovrebbe essere reso una merce? Sarà perché fino in fondo sa che il miglior contesto per il sesso sia all’interno di un rapporto pieno di rispetto, fiducia e affinità reciproca? E mentre suppongo che né Andreis né queste ragazze non sottoscrivano la visione biblica del sesso, può darsi che sappiano in fondo che la miglior manifestazione di un rapporto di questo genere è un rapporto in cui uno si rende vulnerabile e si dona in senso totale nella vita a 360 gradi?

Se mi posso permettere di fare ancora un passo in avanti, può darsi che sia Andreis che queste ragazze universitarie desiderano fino in fondo un rapporto di intimità, di vulnerabilità e di fiducia reciproca perché alla fine queste sono caratteristiche del sommo rapporto con Colui che si è reso vulnerabile, che si è sacrificato e che si è donato in tutti i sensi? Insomma può darsi che, nonostante tutto quello che si dicono queste ragazze per “raccontarsi che va bene così”, in fondo c’è il profondo desiderio di un rapporto con Uno che non le paga per sfamare un appetito o per fare un’esperienza ma che può conferire invece il sommo valore su di loro “comprandole a caro prezzo” (1 Corinzi 6,20), il prezzo della Sua propria vita?  

In fine, che ne siano consapevoli o no, sembra che ci sia una eco nei cuori di queste donne, una eco di cosa dovrebbe essere un rapporto, una eco che risuona dall'amore unico che scaturisce da una croce romana e dalla tomba vuota. Perché dove altro si trova un amore di questo genere? Quale altra visione dell’amore può fornire un’immagine delle relazioni che è così coerente con le intuizioni più fondamentali dei nostri cuori?


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