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The Purple Line, quello che vedi dipende dal pixel

Quello che vediamo dipende dal pixel impiegato. Se il pixel è piccolo, allora la definizione dell’immagine sarà sufficientemente nitida. Se è grande, ciò risulterà in un quadratone sfuocato che renderà la percezione confusa se non proprio impedita. Questa constatazione emerge con forza dalla mostra “The Purple Line” del fotografo svizzero Thomas Hirschhorn, fino al 6 marzo 2022 in esposizione al Maxxi di Roma.

Hirschhorn espone un’imponente serie di gigantografie su un lunghissimo muro viola (di qui, “la linea viola” richiamata nel titolo). Le immagini sono di guerra, o meglio di vittime della guerra in Iraq e in altri contesti mediorientali: corpi sventrati, feriti sofferenti, persone disperate, scene di distruzione mischiate ad immagini pubblicitarie. Alcune aree delle foto sono riprodotte da pixel che permettono la visione dell’immagine, altre aree delle foto stesse sono invece pixellate in modo così sgranato da risultare quasi delle macchie di colore indefinite. Il risultato è che si vede e non si vede. Si vede un pezzo ma non l’altro. Il visitatore decodifica qualcosa, ma fatica ad avere una percezione del tutto. Di più, la parte nitida riproduce una scena sconvolgente e allora l’occhio cerca rifugio in un altrove che, tuttavia, è troppo sgranato per essere fruito in modo intelligibile. 

“Il mondo ha bisogno di essere depixellato” ha detto Hirschhorn. La nostra percezione della realtà dipende dal pixel dell’immagine che stiamo vedendo. È dalla grana del pixel che dipende la nostra maggiore o minore messa a fuoco del mondo. Ci sono aree della nostra vita popolate da immagini nitide (o che a noi sembrano tali), altre aree composte da quadratoni pieni di nebbia colorata nella quale ci perdiamo. In alcune cose capiamo qualcosa, in altre navighiamo a vista.

Si può forse dire che le dinamiche innescate dalla “Purple Line” siano esperienza quotidiana sia come fruitori di immagini, sia come creatori di immagini. Come fruitori, come leggiamo e cosa capiamo e come abitiamo la realtà intorno a noi fatta di immagini composte da pixel diversi? Ci soffermiamo solo sulle immagini facilmente decodificabili? Diventiamo pigri di fronte a ciò che non capiamo a prima vista? Come gestiamo il continuo salto tra pixel piccoli e pixel grossi? Come creatori, quali immagini di mondo creiamo intorno a noi per chi ci vive accanto? Precise su alcuni aspetti che a noi stanno a cuore, generiche su altri che percepiamo come distanti?

Qual è il pixel giusto per la vita? C’è un senso in cui le suggestioni della “Purple Line” possano essere lette alla luce di 2 Corinzi 3-4. Lì, in una sezione che è piena di richiami alla vista, alla luce e alla comprensione della realtà, ci viene detto che Cristo è “l’immagine di Dio” (4,1). La luce della conoscenza di Dio rifulge nel volto di Gesù Cristo (4,6). In Cristo il velo che rende la vista annebbiata viene rimosso (3,14). In Cristo e grazie allo Spirito Santo, noi possiamo vedere a viso scoperto (3,18).

Ecco, parafrasando liberamente questi testi (sperando di non manipolarli), Gesù Cristo è il pixel giusto per inquadrare tutto. Lasciati a noi stessi e alla nostra vista annebbiata dal peccato e contraddittoria, la nostra vita sarà sempre una “Purple Line”: un continuo andare avanti e indietro ad immagini incoerenti, con squarci di luce e aree di ombra, con rimozioni, fughe, fissazioni, senza pervenire mai ad una comprensione della realtà conforme al mondo di Dio.  Il peccato usa pixel troppo grandi o troppo piccoli da far perdere le dimensioni giuste e lasciarci soli nell’andirivieni delle nostre percezioni falsate. 

“Il mondo ha bisogno di essere depixellato” ha detto Hirschhorn. Sì, vero, ma bisogna spingersi più in là: il mondo ha bisogno di Cristo.

P.S. Abbiamo visitato la mostra di Thomas Hirschhorn proprio alla vigilia della “Giornata di preghiera per la chiesa perseguitata” (IDOP) organizzata dall’Alleanza Evangelica Mondiale. Il testo biblico dell’IDOP era 2 Corinzi 1,8-11: “Fratelli, non vogliamo che ignoriate, riguardo all’afflizione che ci colse in Asia…”. Paolo dice: “Non ignoriate”. Anche noi siamo sempre di fronte ad una scelta: ignorare e non volere comprendere la situazione della chiesa perseguitata nel mondo, oppure identificarci col popolo di Dio, comprendere, pregare, soffrire con chi soffre come un solo corpo. La chiesa perseguitata nel mondo conta 300 milioni di persone, più di 4000 cristiani uccisi e più di 4000 cristiani incarcerati nel 2020. I Paesi dove si soffre di più sono Corea del Nord, Afganistan, Somalia, Libia, Pakistan.

Camminando per i lunghi corridoi stretti della mostra “Purple Line”, eravamo costretti a fare una scelta: guardare quelle immagini cruente ad alta definizione o posare l’occhio sull’immagine vaga, ignorandola … Signore, grazie per averci ricordato di non ignorare, di non passare oltre la sofferenza che i fratelli e le sorelle patiscono a causa del tuo santo nome. Aiutaci nella nostra vita di preghiera, nei gruppi di preghiera e nella vita della chiesa ad avere questa priorità, perché grazie siano rese da molti. Nel nome di tuo figlio Gesù morto sulla croce per noi e resuscitato alla gloria di Dio Padre, “l’immagine di Dio” grazie a cui tutto può essere visto e vissuto bene.


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