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Una, due o tre vie di salvezza? Il Paolo bistrattato

Ma quante vie di salvezza ci sono? Una, due, tre? In occasione dell'ultima "Giornata di studi teologici", la facoltà avventista di teologia di Firenze, prendendo spunto dal recente libro di Gabriele Boccaccini, Le tre vie di salvezza di Paolo l'ebreo , Torino, Claudiana 2023), ha scelto come tema "L'ebraicità di Paolo e l'annuncio del suo Vangelo". Il testo di Boccaccini, docente all’università del Michigan (USA), si inserisce nella ricerca su “Paolo all'interno dell'ebraismo”, che è uno dei tanti prolungamenti della cosiddetta “Nuova prospettiva su Paolo”.[1]

Il titolo stesso pone questioni centrali come il perdono e la salvezza, e ridefinisce non solo la visione teologica in cui si è mosso il cristianesimo delle origini, ma anche quella della Riforma in poi. Senza entrare in tecnicismi molto complessi, le premesse da cui parte Boccaccini ci fanno comprendere i suoi presupposti. "Siamo davvero sicuri che Paolo intendeva proclamare che Gesù è l'unica ed esclusiva via di salvezza per i gentili?... La nostra analisi per definire la teologia di Paolo non parte dai suoi scritti... ciò che ci conduce a Paolo è piuttosto la storia del pensiero ebraico del Secondo Tempio". In sostanza, ciò significa che l'esperienza di Paolo sulla via di Damasco "non deve essere intesa come una conversione al cristianesimo ma come una chiamata entro il variegato mondo del giudaismo del Secondo Tempio".

Quindi, per Boccaccini Paolo fu un predicatore apocalittico il cui vangelo non voleva sostituire la Torah, ma aggiungersi ad essa “come un ulteriore dono di perdono ai peccatori da parte di Dio”. Come tale, Paolo non abbandonò il giudaismo, ma abbracciò la visione del mondo tipica dell'apocalittica giudaica basata sull'idea dell'origine cosmica del male, la presenza corruttrice di Satana e l'attesa della fine dei tempi.

Alla luce di questo scenario, per Paolo coesisterebbero tre vie diverse di salvezza. La prima riguarda i giudei giusti che sono salvati al giudizio finale in base alle loro buone opere in obbedienza alla Torah; la seconda è per i gentili giusti che lo sono in base alle loro buone opere secondo la loro coscienza e la terza è per i peccatori ebrei e gentili mediante la fede in Cristo. Con questo, concezioni teologiche ritenute inconciliabili troverebbero la loro sintesi nel principio che le unisce tutte: nell'obbedienza della legge.   

Paolo, ispirato dalla letteratura apocalittica di Enoc, non avrebbe mai detto che gli esseri umani hanno perso il loro libero arbitrio, che non sono in grado di fare il bene, oppure, che la Torah e la coscienza individuale hanno fallito. Se per Paolo la salvezza per opere della Torah e della legge morale è possibile, la giustificazione per fede è una ulteriore opportunità per coloro che non sono giusti, né hanno avuto la forza o l'occasione per cambiare vita, ma che poi alla fine si sono pentiti. Per Boccaccini, però, la giustificazione per fede non equivale alla salvezza nel giudizio finale. Essa dà solo il perdono ma non è garanzia della salvezza finale: questa viene concessa solo a chi ha vissuto una vita irreprensibile fino alla fine. 

Cosa dire? Le tesi presentate sono molteplici e più complesse, mi limito a poche osservazioni generali. E' molto apprezzabile lo sforzo di Boccaccini di collocare il più possibile Paolo nel suo tempo. Recuperare la sua ebraicità e conoscere il suo complesso clima culturale è utile per comprenderlo ancora meglio. Non persuade però attribuire preminenza al Paolo apocalittico ed esperto delle Parabole di Enoc, e non al Paolo delle lettere del NT. La sua spiegazione dei testi paolini non ha tenuto conto del normale e insostituibile criterio che la Bibbia è maestra di se stessa, e spiega se stessa. Vista la diversità della letteratura rabbinica esaminata (campo ancora molto aperto), non è più sicuro e prioritario conoscere Paolo attraverso le sue lettere? Una cosa è parlare semplicemente di Paolo e del giudaismo, un'altra è parlare del giudaismo di Paolo! 

Per Boccaccini la giustificazione per grazia mediante la sola fede ha un ruolo secondario, è un rimedio posticcio per alcuni, una grazia classista che fa delle differenze e, soprattutto, la potenza e il ruolo centrale della croce è del tutto assente. La sua soteriologia non spiega il fatto che per Paolo se qualcosa è "per grazia", non può essere per "opere", perché "altrimenti la grazia non sarebbe grazia" (Ro 11,6). L'ottimismo antropologico di Boccaccini è anni luce distante da Paolo. Per l'apostolo il dono divino di salvezza esclude necessariamente che "opere" gradite a Dio possano avere qualche valore redentivo, ciò perché gli uomini sono incapaci di compierle.  

Se con la "Nuova Prospettiva" abbiamo avuto il Paolo egualitario, con questo testo abbiamo il Paolo inclusivo che non solo supera il confine tra ebrei e gentili o tra cristianesimo e l'ebraismo, ma tra il cristianesimo e tutte le altre religioni (e non religioni), offrendo la salvezza finale a chiunque sia una brava persona. In definitiva, il Paolo di Boccaccini non propone tre vie di salvezza, ma una sola; quella di cercare di essere una brava persona! Davanti a questa proposta la risposta di Paolo è stata e sarà sempre la stessa: "Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema" (Ga 1,8).

[1] Fra i nomi più noti, presenti anche in molti testi in italiano, si possono citare K. Stendahl, E.P. Sanders, J. Dunn e N.T. Wright.  


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