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Una teologia politica “battista” (II). La chiesa come “ambasciata”

Tra l’ecclesiologia e la politologia non c’è di mezzo il mare, ma un collegamento che rende i due mondi contigui ancorché distinti. Questa non è una tesi programmatica, quanto una constatazione della realtà. Di questo e di altro parla Jonathan Leeman nel suo libro Political Church. A Local Assembly as Embassy of Christ’s Rule, Downers Grove, IVP Academic 2016, pp. 403.

Questo studio sull’ecclesiologia confessante ha il merito di mettere a fuoco la dimensione “politica” della chiesa. Spesso le ecclesiologie battiste (e per estensione quelle evangelicali) soffrono di un certo spiritualismo e mancano di concretezza sociologica, come se la vita della chiesa avvenisse in un “vuoto” sociale o in assenza di dinamiche politiche. Il libro è stato scritto a poche centinaia di metri da Capitol Hill e dalla Casa Bianca e, forse, anche la vicinanza con i luoghi del potere politico USA ha influenzato la riflessione dell’A. sulla natura politica della chiesa.

Nelle sue parole, “la chiesa locale è un’assemblea politica. Davvero, la chiesa è una specie di ambasciata che rappresenta un regno di più alto profilo politico delle nazioni e dei loro governanti. Questa ambasciata rappresenta un regno che non sussiste in uno spazio geografico ma in un tempo escatologico” (22). La chiesa rappresenta pubblicamente il re Gesù, mostra la giustizia del Dio trino e pronuncia il messaggio di Gesù alle nazioni. Alla chiesa locale sono date le “chiavi del regno” per esercitare un’attività “politica” nell’amministrazione della membership, nell’esercizio della disciplina e nelle affermazioni dottrinali (Matteo 16; 18 e 28). 

Ovviamente il riferimento alla chiesa come assemblea politica deve essere bene inteso. Citando O’Donovan (un teologo molto presente in questo libro [ma giustamente criticato a p. 372], insieme allo studioso ebraico Daniel Elazar. Entrambi non battisti), l’A. afferma che “tutto quanto lo stato fa è spirituale o religioso, e tutto ciò che la chiesa fa è politico, anche se nessuno dei due ha il permesso di oltrepassare le autorizzazioni che Dio ha dato a ciascuno” (39). La dichiarazione che “Yahweh è re” e che “Gesù è il Signore” sono un atto liturgico in cui i significati politici e religiosi si fondono. Ciò è in contrasto con le visioni secolarizzate della politica fondate sul “contratto sociale” o con quelle sacralizzate fondate sul “diritto divino” che rivendica spazi gerarchicamente superiori per la chiesa sullo stato o per lo stato sulla chiesa. 

La metafora della chiesa come ambasciata non è sviluppata nei termini del diritto internazionale, ma in quelli pattizi nel contesto del motivo creazione, peccato, redenzione. L’A. costruisce un’ampia configurazione teologica per affermare il governo di Dio sul mondo intero in cui lo stato rappresenta un “delegato” (“delegate model”) e la chiesa il “vice” (“deputy model”) (374). Ciò esclude la teoria dei due regni di luterana memoria e si avvicina alla sovranità di sfere di kuyperiana suggestione (anche Kuyper è citato spesso, anche lui non battista, anche se l’A. mette in discussione la distinzione kuyperiana tra chiesa istituzionale e chiesa organica, p. 378). 

Tra le altre cose, per la chiesa locale significa che ad essa è affidato il compito di discepolare i membri e di evangelizzare le nazioni. Usando le chiavi del regno mediante gli ordinamenti del battesimo e della cena, la chiesa svolge il suo mandato di rappresentare il governo di Dio sull’umanità intera nella nuova umanità dei credenti. Nell’evangelizzare compie l’atto politico di dichiarare il regno di Cristo invitando le nazioni a credere. Nel vivere la vita comune, la chiesa mostra quale sia la politica di Dio in cui culto e giustizia si compenetrano e anticipa proletticamente il compimento escatologico della nuova creazione. In sintesi, “il regno di Cristo diventa istituzionalmente visibile sul pianeta terra nella chiesa locale” (386).

Uno dei pericoli del congregazionalismo è di diventare localista (tutto concentrato su una chiesa locale, la propria, perdendo di vista la cattolicità evangelica) e spiritualista (tutto concentrato sulle discipline personali, perdendo di vista le istanze della visione biblica del mondo). Questo libro è un utile correttivo, pieno di spunti per scoprire un’ecclesiologia confessante degna di questo nome, consapevole anche delle implicazioni “politiche” della vita della chiesa.

(continua)

“Una teologia politica “battista” (I). Spunti da Jonathan Leeman”


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