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Verso la Domenica della memoria (I). Abbiamo davvero capito la Riforma protestante?

Dopo più di cinquecento anni, la Riforma protestante gode di generale buona stampa. Rispetto a ricorrenze passate, dove si registrarono giudizi contrastanti (da romantiche idealizzazioni a sprezzanti rigetti, passando da vistose amnesie), l’anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero è in genere vissuto all’insegna di un’ecumenica, trasversale, distesa commemorazione. Sì, permangono sfumate diversità nelle accentazioni degli uni e nei silenzi degli altri. Ad esempio, la Chiesa cattolica parla ufficialmente di “commemorazione” (non di celebrazione) perché non ritiene di dover celebrare qualcuno, come Martin Lutero, che bruciò una bolla papale! E tanto meno un movimento che osò prendere di petto e alla luce del sole l’istituzione romana sul piano dottrinale, avendo il coraggio di riformare le sue strutture di pensiero ed ecclesiastiche. 

Per contro, prima e dopo la commemorazione di Lund del 31 ottobre 2016, Papa Francesco ha impiegato tutte le sue doti comunicative, fatte di allusioni aperturiste e anche di dosi massicce di ambiguità, per dire che la Riforma conteneva delle istanze genericamente plausibili (il richiamo alla Scrittura, l’istanza di rinnovamento) che avrebbero potuto facilmente essere assorbite dalla Chiesa di Roma. Purtroppo, secondo lui, sono subentrate da subito motivazioni ed azioni politiche che l’hanno “confessionalizzata” determinando lo strappo riprovevole. Da un lato, il papa ha accarezzato l’idea che Lutero sia sempre stato un figlio (un po’ sanguigno e recalcitrante) di Santa Romana Chiesa, dall’altro ha depotenziato la Riforma della sua portata dottrinale facendola diventare un movimento più caratterizzato dalla politica che dalla teologia. 

Questa lettura fa a pugni, ad esempio, con il modo in cui il Concilio di Trento ha interpretato la Riforma. Trento, infatti, ha capito bene quale fosse la portata della Riforma e ha dedicato gran parte dei suoi lavori ad affermare con forza la dottrina romana del canone della Scrittura, del peccato originale, della giustificazione, dei sacramenti in contrapposizione alle posizioni della Riforma. Questi temi non sono questioni ecclesiastiche, ma punti squisitamente teologici. Vero è che Trento si è occupato anche di riforma dei costumi e delle prassi ecclesiastiche, ma la sua preoccupazione decisiva è stata teologica perché la Riforma fu prima di tutto un movimento teologico. Secondo Trento, la Riforma aveva intaccato la visione della salvezza risultato di una cooperazione e la struttura sacramentale della chiesa e a queste istanze Roma doveva dare risposta. E Trento la diede.

Ora il papa dice che, in realtà, tutto questo è secondario: è la politica ecclesiastica che ha generato la Riforma e la Controriforma, mentre le teologia è stata usata in modo strumentale per mascherare un conflitto di interessi politici. Questa rilettura di papa Francesco si inserisce nel quadro più ampio del suo disinteresse per la teologia e della sua persistenza a de-centralizzare le questioni teologiche a favore del primato morbido della “misericordia” che tutto accetta e nulla problematizza, ma che poi viene riciclato nell’avvolgente cattolicità romana. Visto che oggi non siamo più ossessionati dalle diatribe di politica confessionale e visto che le divergenze teologiche furono solamente secondarie, è possibile procedere speditamente verso la piena unità: più cattolica, certo, ma pur sempre romanamente tale.  

Davvero la Riforma fu figlia della politica e solo in seconda battuta della teologia? Davvero il pensiero di Lutero fu così politicizzato da non essere teologico? Davvero il sola Scrittura coprì una vorace sete di potere? Davvero il sola grazia fu un maldestro tentativo di coprire un disegno politico? Davvero il solo Cristo nascose un progetto di egemonia ecclesiastica? Davvero Trento capì poco quello che stava succedendo e fu preso dalla logica della reazione identitaria soltanto? 

Che dire poi delle chiese evangeliche? Come viene ricordata la Riforma protestante? Spiace notare una certa indifferenza nei confronti della scelta di campo che la Riforma evoca: per Dio, contro gli idoli! La Domenica della memoria è una preziosa occasione di dedicare parte del culto alla rievocazione dell’identità storica della fede evangelica. Senza tentazioni nostalgiche (la Riforma è una vocazione attuale), senza ricostruzioni sentimentali (la Riforma ebbe molti limiti e fece molti errori), ma valorizzando il fatto che la fede evangelica è una fede biblica, apostolica, ortodossa e anche protestante.

L'invito di Lutero di tornare alle Scritture per riscoprire il messaggio dell'evangelo è il perenne antidoto ai richiami di una religione autoreferenziale, da qualunque parte arrivi, anche se ammantata di linguaggio cristiano. È giusto pentirsi ed archiviare passati atteggiamenti di ostilità reciproca, ma le istanze della Riforma non possono essere superate con un irenismo sentimentale all’insegna della derubricazione della teologia. La Parola di Dio ci dice che l’unità la si coltiva nella verità accompagnata dalla carità. Il binario biblico della verità nella carità è quello giusto per celebrare la Riforma e per rappresentarne le istanze nel nostro tempo. 

(NdR: La Domenica della memoria (in molti Paesi chiamata “domenica della Riforma”) è un’occasione per ricordare la riscoperta dell’evangelo imperniata sul riconoscimento dell’autorità della Scrittura, la centralità di Gesù Cristo, la gratuità della salvezza, l’esigenza che tutta la vita sia vissuta per la gloria di Dio. Per l’occasione l’Alleanza Evangelica Italiana offre materiali e spunti per vivere in modo significativo questa ricorrenza)


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